Iraq, la rivincita dei curdi dopo il successo alle urne: sarà il federalismo?

Ora che la campagna di sangue targata Saddam Hussein appartiene solo al lontano 1991, dopo il recente successo elettorale i curdi tentano la rivincita politica in Iraq a partire dal Parlamento. Se vent’anni fa, alla fine della Guerra del Golfo e con il dente avvelenato del conflitto di otto anni con l’Iran, la minoranza curda era considerata solo una massa pericolosa di ribelli contro il governo, ora a Baghdad occupa le poltrone del potere e chiede sempre maggiore sovranità.

La regione semiautonoma del Kurdistan iracheno sta pressando per avere un ruolo sempre più importante, sia di indipendenza istituzionale e sia in materia di risorse energetiche.

Nel difficile processo di formazione del governo di Baghdad il partito curdo potrebbe tentare la via della secessione, anche se non ora, soprattutto perché questo metterebbe a dura prova la stabilità di un Paese già in bilico a livello politico.

L’approccio federalista curdo e le richieste di un controllo regionale più forte spaventano gli altri partiti che sono stati eletti. Il leader Masud Barzani che con il suo Partito Democratico curdo, che si è aggiudicato 29 dei 57 seggi riservati ai curdi,  però è deciso a fare rispettare i bisogni della sua gente e chiede una svolta: «È impossibile per noi essere parte di un governo che si comporta come quelli passati».

Adesso la formazione di Barzani sta cercando di andare a Baghdad con un blocco unitario di partiti curdi, ma sotto la sua bandiera. È stato concordato un regolamento interno che prevede all’interno del gruppo parlamentare unico anche la Kurdistan Alliance (la coalizione che raggruppava il grosso dei partiti kurdi), con 43 seggi, il movimento di opposizione Goran (8 seggi), quello del presidente Jalal Talabani, e la Kurdistan Islamic Union – un altro partito di orientamento islamico, che seggi ne ha ottenuti quattro. In tutto, fanno 57 seggi su un totale di 325 deputati.

La questione impellente per tutti i curdi è risolvere i disagi nelle storiche terre contese come Kirkuk, luoghi che sono di fatto sotto il governo regionale ma nominalmente sono di competenza del governo centrale di Baghdad.

Gli uomini di Barzani vogliono fare leva sul voto territoriale diviso, in modo da ridurre drasticamente l’influenza degli arabi sunniti almeno nelle aree a maggioranza curda. Il progetto che vogliono mettere in campo è quello di un Iraq diviso in tre, con Baghdad capitale federale: i curdi al nord, sunniti al centro e ovest e sciiti nel sud.

Nel menu di riforme del Partito curdo c’è un passaggio molto contestato della Costituzione irachena, l’articolo 140, che se cambiato potrebbe aprire la strada a un referendum sulle terre dibattute, in primis Kirkuk.

E se recentemente una riconta parziale di 2,5 milioni di voti nelle elezioni dello scorso 7 marzo ha confermato la vittoria di misura di una coalizione inter-confessionale guidata dall’ex primo ministro Iyad Allawi, le scelte di campo dei curdi potrebbero destabilizzare la partita verso un governo nazionale già difficile da formare. Questa vittoria di misura, aggravata dal rischio di nuovi attentati non fa ben sperare anche perché, dopo le ultime parlamentari del 2005, ci vollero più di cinque mesi per formare il nuovo governo.

Il blocco Iraqiya di Allawi, sostenuto anche dai Sunniti, ha ottenuto 91 seggi, rispetto agli 89 della coalizione sciita del premier uscente Nuri al-Maliki, che a questo punto potrebbe cercare di formare un’alleanza con un altro schieramento sciita, l’Alleanza nazionale irachena, per mantenere il potere.

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