Dittatore nordcoreano Kim Jong-un vuole incontrare il presidente Obama

TOKYO, GIAPPONE – La posta in ballo e’ alta e la Corea del Nord si gioca in pratica tutto. Il giovane dittatore Kim Jong-un punta a sedersi al tavolo negoziale a due col presidente Barack Obamai, saltando a pie’ pari quello multilaterale a Sei in stallo da dicembre 2008 e sganciandosi, allo stesso tempo, dall’ abbraccio soffocante della Cina, ultimo (e ingombrante) grande alleato.

Pyongyang, afferma Masao Okonogi, professore onorario della Keio University e tra i massimi esperti giapponesi delle vicende all’altezza del 38/mo parallelo, ”continuera’ nella sua serie di provocazioni, tra alti e bassi, fino al 27 luglio 2013, al giorno dei 60 anni dell’anniversario dell’armistizio” siglato per porre fine alla sanguinosa Guerra di Corea del 1950-53. ”Del resto – osserva – per chiudere il polo industriale congiunto di Kaesong basta ritirare i lavoratori nordcoreani piuttosto che bloccare quelli sudcoreani. Ma non lo faranno”.

Lo schema, per certi versi, e’ simile a quello tentato dal padre, il ‘caro leader’ Kim Jong-il: riuscire a strappare il riconoscimento di Washington di potenza nucleare e trattare su tutto ”alla pari”, chiudendo le tante partite in sospeso, come la firma di un trattato di pace e un robusto pacchetto di aiuti. La differenza di fondo rispetto agli anni del ‘caro leader’ e’ che il Paese, ultimo baluardo stalinista al mondo, ”e’ allo stremo, ai limiti delle capacita’ di autosussistenza”.

Il tempo a disposizione scorre e la scadenza di luglio ”puo’ essere ragionevole” per ottenere la svolta negoziale. ”Attualmente – aggiunge Okonogi – le azioni sono molto provocatorie per tenere alta l’attenzione, ma non credo che la Corea del Nord procedera’ a mosse militari. Il lancio di un missile contro una base Usa significherebbe la fine” del regime, oltre che il rischio di un pericoloso incendio nell’Asia-Pacifico. Mentre ”e’ ragionevole il lancio di un missile o un test nucleare il 15 aprile”, in occasione dell’anniversario della nascita del fondatore dello Stato e capostipite della famiglia al potere da tre generazioni, il ‘presidente eterno’ Kim Il-sung.

Di sicuro lo sviluppo delle tecnologie nucleari andra’ avanti perche’ funzionale alla leva negoziale, ma l’emergere dell’altra linea ”sulla ricostruzione economica” – entrambe sono state approvate dalla riunione plenaria del Comitato centrale del Partito dei Lavoratori e ratificate dall’Assemblea suprema del popolo – rimarca la consapevolezza della necessita’ di un cambio di rotta.

Dubbi, invece, sul ruolo della Cina, incapace alla fine di proporsi come stanza di compensazione. Sul punto, e’ durissimo il giudizio di Kurt Campbell, ex capo dell’Ufficio per gli Affari Esteri di Estremo oriente e Pacifico del Dipartimento di Stato Usa: ”La politica di pacificazione della Cina e’ fallita”, dice in un’intervista al quotidiano Yomiuri, motivo per cui Pechino ”e’ arrabbiatissima” con l’imprevedibile alleato. ”La cosa piu’ importante e’ scongiurare una crisi e poi – conclude Campbell – rivedere radicalmente le politiche” d’ingaggio diplomatico. Insomma, nelle sue parole si potrebbero leggere margini potenziali per giustificare l’azzardo del ‘giovane generale’ Kim Jong-un

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