Il futuro dell’Egitto nelle mani della casta militare

di Licinio Germini
Pubblicato il 6 Febbraio 2011 - 13:53 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro della Difesa egiziano Mohamed Tantawi

WASHINGTON, STATI UNITI – La futura stabilità del’egitto dipende dalla casta dei militari, che però è divisa e si sta guardando intorno incerta, come tutti, per valutare quale piega  prenderanno gli eventi mentre non si placa la rivolta popolare per cacciare il presidente Hosni Mubarak.

Che i militari siano divisi, tra alti ufficiali, ufficiali di medio livello e semplici soldati non è una novità. Già nel 2008 un rapporto dell’ambasciata americana al Cairo diretto a Washington riferiva che un gruppo di ufficiali di medio livello aveva definito il potente ministro della difesa Mohamed Tantawi ”il barboncino di Mubarak” oltrechè incompente e di vecchio stampo.

Un altro messaggio dell’ambasciata, ottenuto da Wikileaks, riferiva commenti ancor più duri contro Tantawi fatti pervenire al generale americano David Petraeus, a quel tempo capo del Comando Centrale mediorientale: i militari di medio livello affermavano che sotto la guida di Tantawi ”la preparazione tattica e operativa delle forze armate egiziane era decaduta”.

In questa situazione, e mentre la rivoluzione scuote le fondamenta dell’Egitto, l’amministrazione del presidente Barack Obama sta approvando un processo di transizione sostenuto proprio da Tantawi ed alti ufficiali, diretto ad ottenere la tranquilla dipartita di Mubarak, il loro benefattore per lungo tempo.

Ma chiunque diventerà presidente dopo le elezioni di settembre, secondo funzionari dell’amministrazione Usa, saranno i ricchi e impenetrabili militari che avranno in mano la chiave per governare l’Egitto, determinarne il suo futuro e, per estensione, mantenere la stabilità nel mondo arabo.

Alla Casa Bianca ammettono di non sapere molto su una istituzione che non è certo un monolite e che controlla un’economia parallela a quella nazionale, una sorta di ”Military Inc.”, coinvolta tra l’altro nella produzione di prodotti elettronici , elettrodomestici, vestiario e generi alimentari. E i rapporti tra il Pentagono e i militari egiziani, cui gli Stati Uniti passano annualmente 1,3 miliardi di dollari, sono, a dire il meno, tiepidi. Con loro nè il ministro della Difesa Robert Gates, nè il capo degli Stati Maggiori Riuniti Mike Mullen hanno rapporti particolarmente cordiali.

Gli americani, in mancanza di relazioni strette, non sono sicuri di cosa pensa la leadership degli ufficiali di medio livello – considerati bendisposti nei confronti dei dimostranti – nè se ad un certo punto potrebbero rompere con i generali fedeli a Mubarak, un’eventualità per ora considerata improbabile.

Nondimeno, un altro messaggio dell’ambasciata Usa al Cairo, questa volta indirizzato alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato ed al Pentagono descrive gli ufficiali di medio livello scontenti di quello che considerano una leadership militare sclerotizzata.

Robert Springborg, docente alla Naval Postraduate School di Monterey, California, ed esperto di affari militari egiziani, rileva che i generali anche durante la rivolta hanno continuato a coltivare la loro immagine di protettori della nazione, astenendosi dal muoversi contro le centinaia di migliaia di dimostranti.

Ma secondo Springborg è stata una sceneggiata. Di fatto i militari hanno orchestrato gli avvenimenti ed hanno ad un certo punto incoraggiato i sostenitori di Mubarak a scontrarsi con i dimostranti.

Nella generale incertezza, appare chiaro che Tantawi e la ristretta cerchia di alti ufficiali che gli sono fedeli abbiano già messo sui piatti della  bilancia la loro lealtà verso Mubarak e la loro sopravvivenza alla crisi, scegliendo quest’ultima.

Ne è convinto Ragui Assad, egiziano, docente all’Università del Minnesota. ”La casta dei militari – dice – è una istituzione razionale e calcolatrice. Nel momento in cui vedranno che non è più nel loro interesse mantenere Mubarak al potere, se ne sbarazzeranno”.

E’ probabile che vogliano farlo in maniera dignitosa per Mubarak, prosegue Assad, ”anche se allo stato dei fatti molti di loro si rendono conto che potrebbe non essere possibile”.