Egitto, la sfida laica alla Fratellanza Musulmana

Pubblicato il 4 Febbraio 2011 - 15:01 OLTRE 6 MESI FA

“E’ altamente probabile che la Fratellanza musulmana vincerà le elezioni indette in Egitto per settembre”: a sostenerlo è Ayaan Hirsi Ali, politica e scrittrice somala naturalizzata olandese, nel suo articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera. La Ali, nota a livello internazionale per il proprio impegno a favore dei diritti umani e soprattutto dei diritti delle donne, riporta la propria esperienza di vita nei paesi arabi per sottolineare alcuni aspetti dei Fratelli musulmani ignoti all’Occidente.

La Fratellanza musulmana, sostiene Ali, ha assimilato i meccanismi che stanno alla base delle campagne elettorali: adottano programmi politici sottoscritti dai membri, penetrano nel tessuto della popolazione “a prescindere da classe sociale, religione e opinioni politiche”, e non dimenticano di ricordare agli elettori i passati successi del partito e i fallimenti dei rivali. Tutti questi meccanismi sono però ignoti ai gruppi democratici laici e ai sostenitori dei diritti umani in Egitto e in tutto il mondo arabo.

Al momento, sottolinea Ali, esistono due scuole di pensiero nel movimento islamico, entrambe ispirate ai precetti di Maometto. Ci sono i fautori della Jihad immediata che si riallacciano all’epoca in cui Maometto aveva piccoli eserciti capaci di sconfiggere armate ben più vigorose. C’è poi l’altro ramo, meno violento, che evidenzia soprattutto la perseveranza e la pazienza di Maometto e punta alla Da’wa, la persuasione tramite la predicazione e l’esempio. Soprattutto, però, questo ramo della Fratellanza crede che le posizioni di potere vadano raggiunte attraverso un processo graduale e multi-generazionale. Una strategia, questa, definita Taqiyyah, che punta alla collaborazione con i nemici fino ad un cambiamento tale che permetta la loro conversione all’Islam o il loro annientamento.

Le forze laiche, invece, non sono tanto forti e organizzate quanto i due rami della Fratellanza, il cui ultimo fine è sempre l’instaurazione della Sharia. E il motivo, alla fine, è uno solo: manca il collante ideologico. C’è il timore, sostiene Ali, che ogni opposizione al movimento sarebbe visto “dalle masse come un rifiuto dell’Islam”. Questo perché i gruppi laici non sono ancora riusciti a far passare il messaggio che anche loro possano conciliare la laicità con l’Islam, ma senza Sharia – che “ribadisce la separazione tra religione e Stato”.

Per sfuggire sia alla dittatura sia alla Sharia, l’Egitto e le altre nazioni arabe dovrebbero seguire, secondo Ali, una terza via in grado di separare religione e politica, e di “stabilire un governo di rappresentanza popolare che tuteli al legalità e promuova le condizioni favorevoli al commercio, agli investimenti e all’occupazione”.

I democratici laici dovranno convincere il popolo “che un regime basato sulla Sharia sarà repressivo in patria e aggressivo all’estero, e che se le masse lamentano disoccupazione, aumento dei prezzi e corruzione, un governo basato sulla Sharia aggraverebbe quelle difficoltà”. Stara a Barack Obama decidere se aiutare le forze laiche con risorse per la campagna elettorale. “Ma senza un’efficace organizzazione, le forze laiche e democratiche che hanno spazzato via questa tirannide rischiano di lasciarsi sottomettere dalla prossima”.