Egitto, Obama: “Basta violenze, via con le riforme”

WASHINGTON – Gli Stati Uniti seguono con il fiato sospeso i drammatici sviluppi della crisi egiziana. Aspettano impazienti di capire se il duro monito di Barack Obama a Hosni Mubarak perché fermi la violenza e assicuri le riforme stia producendo gli effetti sperati. Mentre emerge da alcuni cable diffusi da Wikileaks che gli Usa già da anni stavano preparando segretamente la transizione, tutto il Paese segue attaccato alla tv la rivolta.

Da sabato 29 gennaio tutti i maggiori network non hanno mai smesso di informare su quanto sta accadendo in Egitto. Sabato di lavoro anche per i vertici dell’amministrazione. E’ durato oltre due ore l‘incontro tra il segretario di Stato, Hillary Clinton e il vicepresidente Joe Biden, assieme ad altri esponenti di rilievo del governo. Al centro di questi colloqui l’analisi della situazione, definita appena da Barack Obama ”ancora totalmente fluida”.

La parola d’ordine per il momento è prendere tempo. I media, dal New York Times a Politico.com sono concordi nel sostenere che Obama abbia ormai ”preso le distanze” dal suo alleato, oggi contestatissimo dal suo popolo. Tuttavia, dopo l’intervento presidenziale del 28 gennaio, il 29 gennaio non è ancora emersa una reazione ufficiale della mossa decisa da Mubarak di nominare come suo vice il capo dei servizi segreti, il generale Omar Soleiman.

L’unico commento, ma non ascrivibile direttamente alla nomina di Mubarak, viene dal Dipartimento di Stato. Il suo portavoce J. Crowley, su twitter, ha esortato il leader a muoversi, e in fretta, a favore delle riforme. ”Le autorità egiziane – osserva Crowley – non possono semplicemente mescolare le carte e rimanere fermi. E’ ora che Mubarak, dopo aver parlato di riforme, faccia seguire fatti concreti alle sue parole”.Un concetto del resto espresso in modo esplicito già dal presidente Barack Obama.

Scarsa eco ha avuto invece la rivelazione diffusa da Wikileaks e pubblicata dal Telegraph, secondo cui da almeno tre anni gli Stati Uniti sostengono segretamente dissidenti al governo del loro alleato Hosni Mubarak. Secondo questi cable, la diplomazia americana già nel 2008 entrò in contatto con alcuni elementi che starebbero dietro la rivolta di questi giorni. Si parla di un ”giovane egiziano”, del movimento di opposizione ”6 aprile”, aiutato dall’ambasciata Usa al Cairo a partecipare a un incontro a Washington con altri dissidenti, chiamato l’Alliance of Youth Movements Summit, promosso dallo stesso Dipartimento di Stato.

Al suo ritorno al Cairo, scrive il Telegraph, questo giovane ha rivelato ai diplomatici Usa che era stata formata un’alleanza tra gruppi del dissenso con un piano per rovesciare nel 2011 il regime di Mubarak e mettere in carica un governo democratico, prima delle elezioni presidenziali in programma nel settembre di quest’anno.

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