Il Fmi fa il conto dei guai: petrolio, inflazione, disoccupazione, banche. Il mondo sottoposto a stress-test

ROMA-Il Fondo Monetario Internazionale fa il conto dei guai ed è una lista lunga una quaresima senza garanzia di resurrezione. Primo guaio: con il petrolio a 105/110 dollari al barile l’economia mondiale rallenta, in alcune aree si ferma. Quando il Fmi contava, la Libia non era ancora quel che è adesso, lo Yemen non rischiava la guerra civile, l’Arabia Saudita non aveva ancora mandato truppe in Bahrain: il petrolio sopra quota cento era un rischio, ora è una probabilità. Secondo guaio: l’aumento dei costi delle materie prime. Alimentari e non solo. Significa inflazione. E inflazione chiama aumento dei tassi. Quando il Fmi faceva di conto, la guerra in Libia era alle sue prime settimane, l’Egitto non era percorso da nuova instabilità, il Giappone non era ancora stato piegato dal terremoto, la comunità internazionale non aveva messo in bilancio gli enormi costi degli stress-test alle centrali nucleari. L’inflazione era una minaccia, ora è una promessa. Terzo guaio: i debiti delle banche che ancora si aggirano come mine vaganti nei bilanci pubblici degli Stati. Ora le banche saranno sottoposte anche loro a stress test, di sicurezza finanziaria. Se i “collaudi” saranno seri e stringenti, qualcuna fallirà, se saranno leggeri, la mina non sarà disinnescata. Quarto guaio, davvero mondiale: troppi milioni di giovani sono disoccupati. Nel mondo sviluppato e in quello tagliato fuori dallo sviluppo. Quinto e ultimo guaio, questo soprattutto italiano: poca competitività, cioè produrre merci costa troppo rispetto alla concorrenza mondiale.

E’ un conto da “ragionieri” quello del Fmi, ma forse le cifre in colonna, le varie voci del conto sono la politica interna e internazionale che viene e verrà. Il Nord Africa e il Medio Oriente non reggono il peso di una popolazione giovane e disoccupata. L’Europa non regge il peso di una spesa pubblica e di pubblici disavanzi. Gli Usa non reggerebbero un nuovo caro petrolio che fermerebbe pure la Cina. L’inflazione da materie prime minaccia il consenso dei governi, democratici e non. E’ il mondo che è sottoposto, suo malgrado, a stress-test.

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