L’islamismo radicale si fa strada nelle proteste in Yemen: lo spauracchio di Al Qaeda

Pubblicato il 4 Marzo 2011 - 08:13 OLTRE 6 MESI FA

SANAA – La situazione in Yemen si fa sempre più incandescente, gli analisti di Washington ripongono sempre meno fiducia nelle chance del presidente Ali Abdullah Saleh di continuare a governare il paese della penisola Arabica. Thomas C. Krajeski, ambasciatore a San’a dal 2004 al 2007, ha privatamente dichiarato di attribuire all’attuale presidente solo il cinquanta per cento di possibilità di restare al potere, nonostante la sua reputazione di astuto stratega, capace di restare a galla anche nelle situazioni più delicate.

Il destino dello Yemen, fortemente legato a quello di Saleh, è visto con crescente apprensione dagli uffici di Washington, soprattutto in luce dei più recenti avvenimenti. Le manifestazioni popolari si sono fino ad oggi ispirate alle proteste, essenzialmente laiche e partite dalla società civile, della Tunisia e dell’Egitto. A cambiare le carte in tavola è però arrivato l’intervento di un celebre religioso, considerato come un seguace e collaboratore di Osama bin Laden.

Abdul Majid al-Zindani ha recentemente arringato la folla in un raduno all’aperto nella capitale yemenita. Scortato da un massiccio numero di guardie del corpo armate di Kalashnikov, ha parlato ai manifestanti riuniti, mentre due uomini lo proteggevano dal torrido sole arabico con due ombrelli. « Uno stato islamico – ha detto – sta per arrivare » sentendosi rispondere dalla folla « Dio è grande ». « Il presidente Saleh – ha continuato – è venuto al potere con la forza, vi è rimasto con la forza, e il solo modo di sbarazzarsi di lui è grazie alla forza del popolo ».

Abdul Majid al-Zindani è dal 2004 nella lista dei terroristi globali stilata dal Dipartimento per la Sicurezza degli Stati Uniti d’America. L’università da lui fondata e diretta a San’a ha avuto tra i suoi studenti diverse persone implicate in atti di terrorismo. Pare che il percorso di al-Zindani sia quello di una progressiva estremizzazione del suo pensiero già radicale. Nel 2008 ha tra l’altro fondato una milizia di volontari incaricati di segnalare alla polizia le infrazioni alla legge islamica.

La discesa nel campo dei manifestanti di al-Zindani marca il suo distacco, senz’altro definitivo, con il presidente Saleh. La sua defezione dal campo governativo segue quella di diversi capi tribali e mostra quanto velocemente si stia disintegrando il sistema di relazioni dell’attuale presidente.

Un vuoto di potere nello Yemen potrebbe avere delle conseguenze devastanti. Il paese, tra i più poveri del mondo, non è mai uscito da una doppia guerra civile che il governo centrale combatte contemporaneamente contro il sud secessionista e contro gli islamisti radicali del nord. In questo contesto, la rete di al-Quaida trova nello Yemen uno dei più fertili terreni per il reclutamento e la battaglia sul campo.

L’alleanza degli Stati Uniti con Saleh si è rafforzata negli ultimi anni proprio in funzione della lotta al terrorismo islamico. San’a ha ricevuto stanziamenti per milioni di dollari, oltre ad aiuti sotto forma di intelligence e armi sofisticate. Gli Stati Uniti temono che se il potere di Saleh si disintegrerà, come molti temono, si produrrà allora un vuoto di potere.

Non esiste nello Yemen una situazione come quella dell’Egitto o della Tunisia, dove per esempio le gerarchie militari sono rimaste al loro posto, malgrado l’allontanamento dei dittatori Ben Alì e Mubarak. Una volta scomparso il presidente Saleh – da trent’anni al potere – nessuna istituzione sarà verosimilmente in grado di prendere le redini della situazione e tutto potrebbe allora accadere. Anche, realizzarsi il sogno di al-Zadin, e l’incubo degli Stati Uniti, quello, cioè, di un emirato islamico alla frontiera con l’Arabia Saudita.