Insulti sessisti dai repubblicani? Una manna dal cielo per i democratici Usa

I commenti sessisti degli avversari politici sono per il Partito democratico americano una fonte di guadagno e un’occasione per reclutare militanti. Mentre la reazione a ogni offesa alle donne in Italia è quella di scandalizzarsi, negli Usa si preferisce passare alla cassa. Il caso è stato sollevato da Amy Chozick sul New York Times. Secondo il senatore repubblicano Brook Hougesen, “loro (i vertici del partito democratico) stanno sfruttando le donne per il loro guadagno politico e la loro strategia politica”. Ma partiamo dai commenti sessisti dei repubblicani, divenuti piuttosto insistenti negli ultimi mesi. Wendi Davis, candidata democratica a governatrice del Texas, è stata definita “Abortion Barbie”; Alison Lundergan Grimes, candidata al Senato, è stata paragonata a un “vestito vuoto”; pioggia di critiche poi alle cosce di Hillary Clinton. Mentre le donne incinte sono bollate come “host”, insulto traducibile più o meno con “donna-contenitore”. Di fronte a questi insulti, i democratici non perdono tempo. La prima mossa è scatenare un moto d’indignazione nell’opinione pubblica americana, con particolare attenzione al proprio elettorato di riferimento (femminile e democratico).
Insulti sessisti dai repubblicani? Una manna dal cielo per i democratici Usa
Hillary Clinton, fra le donne peggio insultate e meglio finanziate della politica Usa

NEW YORK – I commenti sessisti degli avversari politici sono per il Partito democratico americano una fonte di guadagno e un’occasione per reclutare militanti. Mentre la reazione a ogni offesa alle donne in Italia è quella di scandalizzarsi, negli Usa si preferisce passare alla cassa.

Il caso è stato sollevato da Amy Chozick sul New York Times. Secondo il senatore repubblicano Brook Hougesen

“loro (i vertici del partito democratico) stanno sfruttando le donne per il loro guadagno politico e la loro strategia politica”.

Ma partiamo dai commenti sessisti dei repubblicani, divenuti piuttosto insistenti negli ultimi mesi.

Wendi Davis, candidata democratica a governatrice del Texas, è stata definita “Abortion Barbie”; Alison Lundergan Grimes, candidata al Senato, è stata paragonata a un “vestito vuoto”; pioggia di critiche poi alle cosce di Hillary Clinton. Mentre le donne incinte sono bollate come “host”, insulto traducibile più o meno con “donna-contenitore”.

Di fronte a questi insulti, i democratici non perdono tempo. La prima mossa è scatenare un moto d’indignazione nell’opinione pubblica americana, con particolare attenzione al proprio elettorato di riferimento (femminile e democratico).

L’obiettivo è suscitare tanto sdegno da indurre gli elettori a diventare attivisti di partito: più militanti, più finanziamenti.

Va tenuto in considerazione il fatto che negli Usa, a differenza che in Europa, i partiti trovano nei privati la loro principale e vitale fonte di finanziamento.

La strategia del partito democratico si dimostra presto efficace, con masse sempre crescenti di elettori fedeli al partito che, indignati e dunque rafforzati nella loro “fede” politica, vanno ad ingrossare le liste elettorali e anche le casse del partito con contributi e donazioni volontarie.

Pullulano comitati di azione politica a difesa dei diritti delle donne, composti prevalentemente da donne di orientamento politico democratico e usati dal partito stesso come strumento di propaganda politica e di “raccolta-fondi” a livello locale. La Lista di Emily, per esempio, incentra la propria azione di movimentazione dal basso dell’elettorato sulla necessità di difendere il diritto per le donne di abortire. Anche grazie alla diffusione attraverso Facebook di slogan come “Le donne incinte non sono contenitori”, la lista elettorale di Emily ha toccato la soglia record di 25 milioni di dollari di finanziamenti per la prossima tornata elettorale.

È così che la campagna elettorale diventa un mercato dove si vendono prodotti come, nel caso considerato, l’indignazione per gli insulti sessisti. Tanto più numerosi e gravi sono i commenti sessisti che i democratici riescono a “scovare” fra le sparate dei repubblicani, quanto più gli elettori sono disposti a pagare per finanziare il partito democratico nelle sue campagne elettorali, che vedono non a caso le donne in prima fila.

E non a caso, Hillary Clinton, oggetto anch’essa di commenti sessisti dei repubblicani per il suo aspetto fisico, è tra tutti i possibili candidati democratici alle elezioni presidenziali del 2016 la più quotata e finanziata. Il Ready for Hillary, che nasce a supporto della candidatura della Clinton, ha mandato una e-mail ai suoi supporter per denunciare l’uscita di un  videogioco, nel quale i partecipanti prendono virtualmente a schiaffi l’ex-segretario di Stato. A gentile richiesta dello stesso comitato, sono fioccate un gran numero di donazioni online da parte dell’elettorato democratico.

D’altra parte, i repubblicani accusano i democratici di porre l’accento sulla tematica di genere per nascondere le questioni impopolari legate all’amministrazione Obama.

A detta della stessa Marie Danzig, direttrice digitale delegata alla campagna elettorale di Obama del 2012 per la sua rielezione, “la nostra abilità non sta nel cavalcare l’onda, ma nel crearla”.  Quindi, non solo creare il moto di indignazione in reazione a un commento sessista, ma andare alla meticolosa ricerca di dichiarazioni o pezzi di articolo di giornale che possano scatenare ulteriori polemiche e mantenere così viva l’indignazione dell’elettorato democratico e la sua voglia di contribuire anche finanziariamente alla causa del partito.

Commenti sessisti da parte dei repubblicani scatenano accuse tra le fila dei democratici che mettono le proprie donne di partito a capo di campagne a difesa delle donne. Campagne che generalmente riscuotono enorme clamore e successo tra l’elettorato, dal quale partono fiumi di finanziamenti al partito democratico.

Una strategia “prendi gli insulti e passa alla cassa” che finora si è dimostrata vincente.

 

 

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