Iran, un futuro di democrazia, per Arabia Saudita e Israele brutto scherzo dagli Usa

Il ministro degli Esteri iraniano Zarif
Il ministro degli Esteri iraniano Zarif

ROMA – “L’Iran riprende il suo posto nel concerto delle nazioni”, “I prezzi petroliferi caleranno ulteriormente?”, “Perché l’accordo è davvero una sconfitta per Israele” sono i tre titoli di altrettante note redatte da Fabio Squillante per l’Agenzia Nova, di cui è direttore sul tema dell’accordo nucleare fra Usa e Iran.

“Martedì 14 luglio, dopo numerosi giorni di febbrili trattative, i rappresentanti dell’Iran, dell’Unione Europea e delle cinque grandi potenze mondiali (Usa, Russia, Cina, Germania, Francia e Regno Unito) raggiungono un accordo che prevede rigidi meccanismi di controllo sull’industria nucleare di Teheran, e la levata delle sanzioni internazionali contro il paese degli ayatollah. Ecco i tre punti:

1. E’ un accordo storico, che promette di cambiare in modo profondo gli equilibri di potere in Medio Oriente, e non solo. Il ritorno dell’Iran nel concerto delle nazioni avrà infatti effetti anche per la Russia, l’Asia Centrale, l’India e il Pakistan, il Nord Africa e infine l’Europa.
L’intesa scontenta innanzitutto Israele e l’Arabia Saudita, che avevano tentato con ogni mezzo d’impedirla.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, si congratula con il suo omologo di Teheran, Hassan Rohani, ma in verità anche Ankara subirà il disgelo tra Iran e Stati Uniti. Proprio Arabia Saudita, Turchia ed Iran sono da tempo impegnati in una partita per la supremazia nel Medio Oriente che ora, necessariamente, non potrà invece essere conquistata da alcuno. Questo, del resto, era l’obiettivo strategico statunitense.

2. L’Iran, incalzato dalle due potenze regionali sunnite, peraltro in competizione tra loro, era sulla difensiva in Siria, in Iraq, nel Golfo e in Afghanistan. Ora, grazie ai proventi del petrolio e del gas che certamente cresceranno, il Paese potrà esercitare con maggiore confidenza la propria influenza nella regione, contenendo l’espansionismo neo-ottomano di Erdogan in Siria, in Iraq, nel Caucaso ed in Asia centrale, ed il pan-arabismo di stampo salafita dei sauditi in Nord Africa, nel Golfo e ancora in Siria e in Iraq.
Nei prossimi anni l’Iran, paradossalmente, potrebbe inoltre divenire il paese più liberale della regione, ciò che garantirebbe stabilità interna e forte crescita dell’economia.

L’Arabia Saudita potrebbe dunque trovarsi presto costretta a fronteggiare l’emergere di una nuova potenza economica regionale, ansiosa di tornare sui mercati internazionali con una accresciuta capacità produttiva di petrolio e gas. Molti temono che questo sviluppo possa deprimere ulteriormente i prezzi petroliferi, ma non è escluso che possa accadere invece il contrario.
Il costoso sostegno finanziario garantito dai sauditi all’Egitto; i generosi appalti assegnati alla Francia per conquistarne il sostegno al tavolo dei negoziati con l’Iran; infine il finanziamento delle milizie che combattono in Siria, in Libia, in Iraq e nello Yemen cominciano improvvisamente ad apparire molto costosi, per un paese che ha determinato il dimezzamento dei prezzi del petrolio, pagandone però anche lo scotto in termini di ridotti introiti.
Proprio per contrastare l’Iran, i governanti di Riad potrebbero convincersi della necessità di ridurre la produzione di petrolio, riportandola dagli attuali quasi 11 milioni di barili al giorno ai tradizionali 9 milioni, in modo da far risalire il prezzo del greggio.

3. Per Israele l’accordo tra Stati Uniti ed Iran rappresenta oggettivamente un colpo gravissimo, e non certo solo perché il primo ministro Benjamin Netanyahu si era opposto con tutte le forze all’intesa. Teheran dovrà aprire le basi militari agli ispettori occidentali, ma è lo stesso Barack Obama ad ammettere che, grazie all’accordo, l’Iran non potrà costruire bombe nucleari per dieci anni. Solo dieci anni.
Il problema, a ben vedere, non è costituito dal rischio atomico cui Israele sarà sottoposto. Gli iraniani hanno realizzato il proprio programma nucleare come garanzia contro i gravi rischi cui il paese è sottoposto da decenni, come deterrenza nei confronti dei paesi arabi, d’Israele e degli Stati Uniti, che hanno circondato il paese con una catena di basi militari. Il problema piuttosto, per Israele, è che l’Iran manterrà la capacità di arricchire l’uranio, e dunque la tecnologia necessaria alla realizzazione di armi nucleari.

E’ ragionevole credere che anche l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia, forse anche la Giordania vorranno ora dotarsi di un proprio programma energetico nucleare. In altre parole, con l’accordo Israele perde la propria unicità strategica e, pur essendo il solo paese mediorientale a possedere un arsenale atomico, dovrà ora convivere con diversi paesi musulmani dotati della capacità tecnologica di realizzarne uno.
La determinazione con cui Obama ha cercato ed infine raggiunto l’accordo, dimostra inoltre come il peso d’Israele nella politica interna degli Stati Uniti sia calato. La gran parte delle classi dirigenti Usa considera ormai lo stato ebraico come un problema da gestire, e non più un garante della sicurezza in un’area strategica del mondo. Si tratta di un cambiamento storico notevole, e per Israele drammatico”.

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