«Il pentimento non servirà». Nuove, dure parole dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad contro l’opposizione. «Fanno un gran baccano e creano notizie false per complicare la situazione – ha detto in tv -. Ma dovrebbero imparare la lezione dalle esperienze del passato. La nazione iraniana è come un oceano ed essi dovrebbero avere paura del giorno in cui questo grande oceano si muoverà, e non ci sarà ritorno». Ventiquattr’ore prima Abbas Vaez-Tabasi, un religioso che rappresenta la Guida suprema Ali Khamenei, aveva invocato per gli oppositori la pena di morte.
Una posizione ribadita dal capo della polizia iraniana, Esmail Ahmadi-Moqaddam, secondo cui «il tempo della tolleranza è finito». Almeno contro alcuni degli oppositori arrestati durante le manifestazioni – ha spiegato – sarà mossa un’accusa da pena di morte, quella di «guerra contro Dio». «Accecheremo l’occhio della sedizione – ha minacciato -. Chiunque verrà arrestato in queste manifestazioni sarà trattato con severità, da criminale».
Mercoledì due uomini che hanno partecipato alle proteste post-elettorali sono stati condannati a morte dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran: i due giovani dissidenti sono stati riconosciuti colpevoli di aver collaborato con un gruppo politico clandestino filomonarchico e di aver attentato alla sicurezza nazionale. Sale così a sette il numero di oppositori condannati a morte negli ultimi mesi in Iran. A Karaj, nel nord del Paese, è stato impiccato mercoledì mattina Ardeshir Geshavarz, dissidente 35enne recluso da sei anni e accusato dell’omicidio di un agente di polizia. L’esecuzione ha suscitato la protesta dei carcerati e ci sono stati disordini nella struttura.
E suonano come una risposta al presidente iraniano le parole dell’alto commissario dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay, che si è detta «scioccata» dai «morti, i feriti e gli arresti» nel quadro della repressione contro l’opposizione in Iran: «Sono scioccata per il numero di morti, feriti e arrestati. Le informazioni disponibili mostrano ancora una volta le eccessive azioni di violenza perpetrate dalle forze di sicurezza e dalla milizia paramilitare Basij». Dall’Italia il ministero degli Esteri ha convocato l’incaricato dell’ambasciata iraniana a Roma per consultazioni sugli ultimi sviluppi in Iran, come ha spiegato il sottosegretario Enzo Scotti alla Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato convocata in via straordinaria. Scotti, a nome del governo, ha ribadito la viva preoccupazione dell’Italia e ha nuovamente condannato le violenze e la perdita di vite umane.
Intanto a Teheran si sono svolti in gran segreto e tra strette misure di sicurezza al cimitero Behesht Zahra i funerali di Ali Habibi Mousavi, il nipote del leader dell’opposizione ucciso durante gli scontri domenica: la sua salma è stata finalmente riconsegnata alla famiglia, che ne aveva denunciata la scomparsa. «Alle 7 agenti di apparati di sicurezza hanno telefonato alla famiglia dicendo che sarebbe potuta andare a ritirare la salma senza farlo sapere ai mezzi d’informazione. I funerali si sono svolti nel silenzio dei media e tra strette misure di sicurezza». Le autorità temevano che i funerali si sarebbero potuti trasformare in una nuova manifestazione dell’opposizione.
La polizia, che nega di aver sparato, ha dichiarato che l’uomo è stato ucciso da «terroristi» in un episodio che non aveva nulla a che fare con le manifestazioni. Inoltre gli agenti hanno annunciato l’arresto del proprietario dell’auto dalla quale è partito il colpo che ha ucciso il giovane Mousavi. «La polizia ha identificato e arrestato il proprietario dell’auto coinvolta nel presunto omicidio» ha riferito una fonte delle forze di sicurezza. L’uomo però ha detto che l’auto gli era stata rubata nei giorni precedenti l’incidente.
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