Iran/ L’ex-presidente Rafsanjani sfida il Leader Supremo Ali Khamenei e riapre il dibattito sul dopo elezioni

Il discorso tenuto venerdi all’università di Teheran davanti a migliaia di persone dall’ex-presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani in cui ha criticato il governo per la repressione dei disordini seguiti alle contestate elezioni del 12 giugno rappresenta una svolta e sembra un altro segnale che l’opposizione guidata da Mir Hossein Mousavi è tutt’altro che estinta, a quanto scrive il New York Times. Lo stesso Mousavi era ad ascoltare Rafsanjani, ricomparendo in pubblico per la prima volta da settimane.

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Rafsanjani, che ha appoggiato la campagna elettorale di Mousavi, non ha messo in dubbio la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad, che è stata sanzionata dal Leader Supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, ma ha messo in chiaro che questi dovrebbe assumere una posizione più conciliante nei confronti dell’opposizione.

Si è quindi collocato, rileva il Times, in una nuova posizione che indica la sua intenzione di svolgere un ruolo più importante nell’interpretare gli ideali della Rivoluzione Islamica del 1979, ricordando la sua amicizia col defunto Ayatollah Ruhollah Khomeini.

Dopo aver definito i sanguinosi disordini seguiti alle elezioni ”una crisi”, Rafsanjani, 75 anni, ha sollecitato la fine delle restrizioni alla libertà di stampa ed alla libertà di espressione ed ha auspicato la liberazione di coloro che sono stati imprigionati durante i disordini. L’ex-presidente ha inoltre criticato il Consiglio dei Guardiani, incaricato di accertare che le elezioni si fossero svolte regolarmente, ”di non aver usato saggiamente il tempo concessogli dal Leader Supremo per investigare”.

”Khamenei e Ahmadinejad hanno cercato di por fine ad ogni dibattito riguardo alle elezioni, ma Rafsanjani lo ha riaperto in maniera autorevole”, ha rilevato Karim Sadjadpour, un esperto di affari iraniani al Carnegie Endowment for International Peace.

Le parole di Rafsanjani, scrive il Times, vengono considerate una implicita sfida all’autorità di Khamenei, che ha sempre cercato di apparire come un arbitro neutrale delle dispute politiche iraniane, ma che con il suo totale appoggio a Ahmadinejad e la sua severa condanna delle proteste appare ora una figura di parte. In questo quadro, secondo gli osservatori, Rafsanjani sembra voler riavere un ruolo centrale nella leadership, attualmente divisa e disorientata.

Rafsanjani è sempre stato noto per il suo pragmatismo, e a giudizio di certi analisti il suo discorso può anche essere considerato una mossa astuta: ha criticato i suoi rivali ma restando pur sempre nell’alveo e nei principi della Repubblica Islamica. Non ha indicato obiettivi particolari, nè ha chiarito se spera che il risultato delle elezioni venga sconfessato, o se sua intenzione è solo di convincere il Paese ad accettarlo.

Rileva in proposito Shaul Bakhash, docente di storia mediorientale alla George Mason University, in Virginia: ”Nel suo discorso Rafsanjani non ha affrontato il problema principale che sconcerta l’opposizione: e cioè che le elezioni sono state manipolate e che i dimostranti nelle strade di Teheran sono stati trattati in maniera brutale”.

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