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Israele-Turchia: incombe lo spettro di una battaglia navale

di Maria Elena Perrero |13 Settembre 2011 19:31

TEL AVIV, 13 SET – Un misto di incredulità, preoccupazione e grande cautela: questi i sentimenti espressi oggi dall’ex comandante della marina militare israeliana, Amy Ayalon, nel commentare la decisione del premier turco, Recep Tayyp Erdogan, di ricorrere alla propria marina militare per forzare, se necessario, il blocco navale a Gaza.

Dietro l’angolo, il rischio di uno scontro in mare fra navi da guerra turche e israeliane, che ancora in anni recenti compivano manovre congiunte sotto l’egida della Nato.

”Non penso che qualcuno davvero intenda intraprendere alcuna battaglia navale”, ha affermato Ayalon alla radio delle forze armate. Tornando col pensiero alle vicende umane, dalle guerre del Peloponneso in poi, Ayalon ha tuttavia avvertito che esiste sempre il rischio che due Paesi si trovino trascinati in un conflitto che in realtà non volevano.

Nelle stesse ore dalla Turchia sono giunte informazioni secondo cui nei radar militari turchi da ora le navi e gli aerei di Israele non sono più segnalati come ”amici”, bensi’ come ”ostili”.

In Israele la marina militare turca gode di notevole reputazione e nessuno minimizza la gravità delle recenti minacce di Erdogan: fra cui quella di inviare tre fregate nel Mediterraneo orientale per difendere ”la libertà di navigazione”, e gli interessi del loro Paese.

Secondo Ayalon, in quella zona – ossia a largo di Creta e di Cipro – la marina militare israeliana agisce in maniera permanente, né può farsi da parte. Fra l’altro è insorta la questione degli importanti giacimenti di gas naturale, fra Cipro, Israele e il Libano, e gli impianti di trivellazione vanno dunque presidiati.

Ayalon ritiene invece che Israele farebbe bene a rivedere il suo approccio circa il blocco navale di Gaza. Le preoccupazioni israeliane di impedire la trafugazione di armi per Hamas, sostiene, sono più che legittime e hanno avuto eco anche nel Rapporto Palmer delle Nazioni Unite sull’intercettazione della nave Marmara (maggio 2010), in cui nove passeggeri turchi rimasero uccisi mentre intendevano forzare quel blocco.

”Ma di sicuro sulla Marmara non c’erano armi” ha rilevato l’ammiraglio. In futuro, in casi analoghi, Israele sbaglierebbe dunque a ostinarsi a mandare le proprie navi da guerra verso imbarcazioni che ”in maniera evidente” abbiano solo aiuti umanitari per Gaza. Occorrono allora soluzioni nuove per sventare il rischio di una pericolosa vicinanza con la navi da guerra che Erdogan potrebbe inviare come scorta.

Ad esempio, suggerisce Ayalon, si potrebbe ricorrere a marine militari di Paesi terzi (ad esempio della Nato) affinché garantiscano a Israele che verso Gaza, via mare, non vengono inoltrate forniture militari di alcun tipo.

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