Continuano i massacri in Kirghizistan. E per i tanti sfollati ora anche l’Uzbekistan è al collasso

Pubblicato il 14 Giugno 2010 - 23:22 OLTRE 6 MESI FA

Roza Otumbayeva

Gli scontri continuano e ormai centinaia di migliaia di uzbeki che vivevano nel sud del Kirghizistan hanno abbandonato le loro case e stanno tentando di varcare le frontiere, in particolare verso l’Uzbekistan, per sfuggire ai massacri scatenati nella notte tra giovedì e venerdì 11 giugno a Osh, seconda città del paese.

I morti sono almeno 124, i feriti più di 1.700, gli sfollati decine di migliaia. Fra i rifugiati in Uzbekistan ci sono tra i 45.000 e i 60.000 uomini, con le donne e i bambini si supera la cifra di 100.000, ma migliaia di persone sono bloccate senza poter attraversare il confine (secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa sono almeno 15.000).

Le autorità uzbeke hanno infatti comunicato in serata di non potere accogliere altri profughi e hanno lanciato appelli alla comunità internazionale e alle organizzazioni umanitarie affinché al più presto si organizzino l’invio di aiuti e, in particolare, donazioni di sangue: molti profughi sono feriti.

Secondo il ministero della sanità kirghizo, non solo Osh, ma tutta la parte meridionale del Paese, è ancora in fiamme al quarto giorno di violenze “disumane”. Particolarmente colpita, oltre a Osh, è Jalalabad, sempre nel sud, dove da decenni si assiste a una difficile convivenza fra etnie kirghiza e uzbeka. Al momento è teatro di incendi, saccheggi, stupri, omicidi.

Secondo molti abitanti, il numero dei morti è destinato a crescere: nelle vie di Osh i corpi vengono gettati in fosse comuni. Alcuni uzbeki parlano di un migliaio di cadaveri a Osh e circa 700 a Jalalabad, e in molti accusano governo ed esercito di fomentare l’odio e di affiancare bande di delinquenti nella carneficina.

Nella serata di lunedì 14 giugno anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Navi Pillay, ha denunciato “una situazione molto pericolosa” e ha messo nero su bianco che gli scontri sembrano “orchestrati, mirati e ben pianificati” e rischiano di “estendersi ben oltre i confini del Kirghizistan”.

Nel contempo l’Unhcr ha annunciato che una squadra d’emergenza e aiuti si sta preparando a partire da Dubai per l’Uzbekistan. Intanto il governo ad interim di Bishkek ha ribadito di non riuscire a riprendere il controllo della regione, nonostante la mobilitazione dell’esercito e dei riservisti, il coprifuoco e l’ordine alle forze di sicurezza di “sparare a vista” contro gruppi armati.

Si è fatto vivo anche l’ex presidente Kurmanbek Bakyev, originario di Jalalabad e rifugiato in Bielorussia dopo la rivolta di piazza che, in aprile, lo ha costretto a lasciare il potere e il Paese: da Minsk ha ripetuto di non avere nulla a che fare con la tragedia in atto ma ha anche chiesto “l’intervento militare dell’Organizzazione per il Trattato della sicurezza collettiva (Csto)”, il blocco di difesa regionale a guida russa, “per riportare il Paese alla normalità “.

Proprio oggi il Csto si è riunito per esaminare la questione e in un comunicato ha dichiarato disponibilità a inviare al governo di Bishkek “benzina, elicotteri, camion e altre attrezzature militari”. Ma non subito.

Per ora la presidente ad interim Roza Otumbayeva si deve accontare di alcune dichiarazioni di sostegno da parte delle superpotenze che in Kirghizistan hanno – ognuna – un’importante base militare: del presidente russo Dmitri Medvedev secondo il quale “bisogna fare di tutto per porre fine” a questa situazione “intollerabile”; e della Casa Bianca secondo la quale il presidente americano Barack Obama è in costante contatto con Mosca.