La guerra invisibile nel Caucaso ha raggiunto la soglia del Kremlino

Combattenti ceceni

Quando la sparatoria ebbe inizio Adlan Mutsaev ed i suoi amici erano nei boschi in cerca di aglio. Erano arrivati nella foresta al mattino presto assieme ad un gruppo di vicini che viaggiavano su una vecchia corriera. Il programma era chiaro: riempire gli zaini, godersi il panorama e poi tornare a casa, nella città cecena di Achkoi-Martan.

Improvvisamente si scatenò l’inferno. Senza alcun avvertimento, soldati russi nascosti dietro un poggio aprirono il fuoco. Adlan, 16 anni, era con suo fratello Arbi, 19 anni, ed i loro amici: Shamil Kataev, 19 anni, e Movsar Tataev, 19 anni. Shamil e Movsar rimasero feriti. Adlan aveva una pallottola nella gamba ma riuscì a rifugiarsi dentro un fosso. Anche Arbi cercò di fuggire, ma uomini in tute mimetiche da combattimento lo raggiunsero.

Secondo quanto riferito dal gruppo per la tutela dei diritti umani Memorial, Arbi fu costretto a trascinare nella neve i suoi due compagni sanguinanti. E nonostante le loro invocazioni, soldati falciarono con i mitra Shamil, Movsar, Arbi e Adlan.

La sventura dei quattro raccoglitori di aglio è stata di accidentalmente entrare dove i russi stavano svolgendo un’operazione contro i ribelli lungo il boscoso confine tra la Cecenia e l’Ingusezia. I soldati, in cerca di militanti che lottano senza esclusione di colpi contro lo stato russo, si sono imbattuti nei quattro, che erano disarmati, e li hanno brutalmente uccisi.

La strage sarebbe probabilmente passata pressochè inosservata se non fosse stato per i terribili eventi di Mosca questa settimana. In un messaggio-video, il capo dei ribelli Ceceni, Doku Umarov, ha dichiarato che gli attacchi suicidi contro la metropolitana della capitale, che il 29 marzo hanno provocato la morte di 40 persone e il ferimento di altre 70, sono stati la vendetta dei ceceni per l’uccisione dei raccoglitori d’aglio. Umarov ha detto che i militari russi hanno usato coltelli per mutilare i corpi deri ragazzi uccisi.

Il comitato antiterroristico russo ha reso noto che una attentatrice è Dzhanet Abdurakhmanova, 18 anni, originaria del Dagestan. Il quotidiano Kommersant ha pubblicato una sua foto con la testa avvolta in una sciarpa islamica nera e una pistola in pugno. L’altra è Markha Ustarkhanova, 20 anni, cecena e vedova di un leader militante ucciso lo scorso ottobre.

Associazioni per la difesa dei diritti umani affermano che il brutale comportamento dei militari russi ha alimentato la ribellione che infuria nel nord Caucaso russo e nelle repubbliche etniche del Dagestan, di Ingusezia, della Cecenia e della Kabardino-Balkaria. Questa guerra invisibile ha ora raggiunto la soglia del Kremlino.

Putin sta combattendo in Cecenia una guerra diversa da quelle combattute dai suoi predecessori, Boris Yeltsin e Vladimir Putin: allora l’obiettivo era di sconfiggere il separatismo. Ora le cose sono diverse e il nemico è cambiato: la nuova generazione di ribelli ha un esplicito obiettivo islamico. Creare un emirato radicale pan-caucasico governato dalla sharia, sul modello dell’Afghanistan sotto i talebani.

Lo scorso febbraio il leader ribelle Umarov si è impegnato a ”liberare” non solo il Caucaso del Nord, ma anche l’Astrakhan – sul mare Caspio – e la regione del Volga.

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