Le rovine di Homs e il lusso di Latakia, i contrasti della Siria nella guerra civile

Le rovine di Homs e il lusso di Latakia, i contrasti della Siria nella guerra civile
Le rovine di Homs e il lusso di Latakia, i contrasti della Siria nella guerra civile

ALEPPO – Nella Siria devastata dalla guerra civile scatenata dagli apprendisti stregoni Obama e Clinton che volevano vendicare gli antichi legami della dinastia Assad con l’Unione Sovietica, un giornalista del magazine tedesco Spiegel, Fritz Schaap, accompagnato dal fotografo Christian Werner ha compiuto un lungo viaggio di ricognizione nella ricca provincia fuori Damasco, da Aleppo a Latakia e Homs.

Ad Aleppo est, la paura è finalmente scomparsa. Per più di quattro anni i vari gruppi ribelli hanno controllato il quartiere di al-Shaar, e i jet siriani e russi per eliminarli hanno recentemente trasformato una metà della città in macerie. I ribelli, e i loro sostenitori, hanno lasciato Aleppo e dopo la vittoria del regime, sono rimasti solo coloro che sostengono il presidente siriano Bashar al-Assad. “Il bombardamento era necessario per cacciare gli islamisti”, dice Tubal, un uomo basso con gli occhi stanchi. “Altrimenti non se ne sarebbero mai andati.”

Gli altri uomini esprimono la loro approvazione. “Eravamo talmente esausti. Volevamo solo che finisse. E se questo significava che tutto sarebbe stato ulteriormente distrutto, allora è stato il prezzo da pagare”, dice proprietario del negozio di macelleria Ahmed Tubal.

Una visita nella Siria di Assad, un “rump state“, il residuo di uno Stato una volta grande e ridotto a seguito della secessione, annessione, irredentismo, occupazione, decolonizzazione o un colpo di Stato o, ancora, rivoluzione nel suo precedente territorio. Intorno alle grandi città ad ovest, su cui Assad ha ripreso il controllo grazie al supporto russo e iraniano, è come entrare in un mondo apocalittico. Grandi autoarticolati Mercedes con serbatoi d’acqua attraversano le rovine di Aleppo, mentre le strade sono pattugliate da veicoli blindati presidiati da soldati russi. Assad può spesso essere visto in televisione, mentre la paura può essere letta negli occhi di molti residenti.

Fritz Schaap, ha fatto un viaggio verso le tre più grandi città in Siria settentrionale e occidentale: Aleppo, Latakia e Homs. Aleppo è diventata simbolo dei brutali bombardamenti. Latakia, la roccaforte sul Mediterraneo, è rimasta in gran parte incontaminata dalla guerra e in estate, è ancora un luogo di vacanza. Homs, una volta il centro della rivolta, è stata distrutta ed è ora destinata a diventare un modello di ricostruzione.

E’ chiaro quali sono le conclusioni del regime, Bashar al-Assad è l’unico che può portare alla riunione del Paese ma cosa pensa veramente la gente? Quali sono gli ostacoli per la riconciliazione e la ricostruzione? E non è lo stesso Assad il più grande ostacolo?, scrive Schaap.

ALEPPO – “Questa era una zona sicura”, dice Ahmed Tubal, il macellaio. “Fino a quando non sono arrivati”. E’ stato nel 2012, all’inizio del Ramadan che esplose la guerra nel suo quartiere. Di fronte a casa sua, un combattente con il volto coperto, ha sparato a una macchina di passaggio e ucciso i quattro passeggeri. I loro volti erano ancora riconoscibili e a tutt’oggi perseguitano Tubal. Corse nel negozio accanto a comprare il pane, le uova, l’olio e il riso per la famiglia, la moglie e due figli e non uscirono di casa per 20 giorni. Esaurite le scorte, hanno dovuto imparare a convivere con la guerra.

La maggior parte dei ribelli che hanno catturato Aleppo, appartenevano a diversi gruppi, alcuni moderati e altri estremisti. I combattenti nel distretto di Tubal hanno presto vietato alcol e sigarette e poche settimane dopo il capo dei ribelli locali con le sue truppe sono arrivati durante la preghiera del venerdì, con i kalashnikov.

Aleppo ovest, sotto il controllo di Assad, è rimasta relativamente preservata ma la parte est, insieme al centro storico, era controllata dai ribelli ed ora è una sorta di monumento alla distruzione causata dalla guerra. Eppure, le persone stanno tornando nei quartieri distrutti, aprono i negozi, portano materassi negli appartamenti bombardati. Per le strade ci sono ancora trappole lasciate dai ribelli, i bambini giocano accanto a bombole del gas trasformate in bombe. L’unica fonte di energia elettrica sono i generatori. Nelle strade ci sono macerie, uno strato di cenere e polvere.

Fino a dicembre, il quartiere di Tubal è stato controllato da Jabat Fatah al-Sham, ribelli della milizia estremista che, secondo le Nazioni Unite, è un gruppo composto da circa il 10% dei combattenti ad Aleppo. Gridavano Allahu Akbar “Dio è grande” per qualsiasi cosa. Entravano nei negozi, definivano i proprietari degli infedeli e confiscavano tutto. Chi non andava in moschea regolarmente, veniva sbattuto in prigione per 15 giorni. Hanno sparato e ucciso un uomo per una banale lite sull’acquisto delle sigarette; hanno fatto fuori un altro che vendeva caffè per aver detto che nemmeno il profeta Maometto avrebbe potuto comprare a credito nel suo negozio. L’accusa: blasfemia.

La storia è scritta dai vincitori e ora, tutti nel quartiere, affermano di essere stati in contrasto con i ribelli. Chi ha un punto di vista diverso è silenzioso o non può più raccontare la sua storia. Ma ad Aleppo, Assad ha sempre avuto molti sostenitori, il che spiega il sollievo mostrato da molti. A loro avviso, la guerra è arrivata nella città dall’esterno. “Hanno rubato il nostro quartiere”. Nella guerra civile siriana, l’opposizione principalmente sunnita sta combattendo un regime per lo più alawita. Il regime ha deciso che la distruzione, non la riconciliazione, è il percorso verso la vittoria e Assad, è ottenere il dominio militare, con l’aiuto dei suoi potenti alleati. Ma lui, ha un futuro?

LATAKIA – Il viaggio verso la città, scrive Fritz Schaap, dura cinque ore anche se è a solo 144 km di distanza, ma è un viaggio in un altro mondo. Gli autobus, automobili e veicoli blindati si affollano sull’unica strada che collega Aleppo con il resto della Siria di Assad. I combattenti dello stato islamico si nascondono, non lontano ad est, mentre i ribelli controllano il territorio a ovest. La strada che costeggia Jabbul Lake, passa attraverso villaggi vuoti, distrutti. Veicoli militari e autobus di linea bruciati, missili ineplosi spuntano come cactus dal suolo arido. L’esercito ha costruito fortificazioni di massi e di rottami di metallo sulla cima delle colline vicino alla strada.

Latakia si trova appena al di là delle montagne costiere e le cose qui sono rimaste sostanzialmente le stesse. Lungo la costa, gli uomini pescano come ogni mattina e d’inverno sulla spiaggia c’è chi pratica surf. Molte case di vacanza sono tinteggiate di fresco, i negozi sono pieni e i funzionari della città hanno esteso l’orario di apertura, forse per accogliere i visitatori che arrivano da Aleppo, a cui piace fare shopping anche a tarda ora.

La più importante città portuale della Siria, è nota per le sue spiagge e alberghi di lusso ed è protetta dai russi, che dal 2015, qui hanno una base aerea. La guerra ha raggiunto Latakia, solo nella fase iniziale e per un breve periodo di tempo. La città fa parte del cuore alawita, appartenente alla minoranza religiosa di cui il presidente Bashar Assad è membro. La sua famiglia controlla l’economia e il contrabbando. C’è immensa povertà a Latakia così come un’immensa ricchezza, con nuovi ristoranti in fase di costruzione, caffè che stanno aprendo e i conseguenti parties.

Lo scorso novembre, mentre cadevano le bombe su Aleppo e in migliaia stavano perdendo le loro case e le loro vite, Latakia ospitava la seconda settimana della moda siriana. Erano stati selezionati i modelli, i giovani designer hanno presentato le loro collezioni, tra cui hot pants sopra al ginocchio, calze e giacche con applicazioni dorate. I media arabi hanno criticato l’evento definendolo cinico, un’accusa che a tutt’oggi li infastidisce.

HOMS  – La visione del governo sul futuro può essere visto a Homs. La strada prosegue verso sud, lungo la costa densamente popolata, ultimi villaggi intatti, aranceti e serre. Sui tetti, la biancheria è stesa ad asciugare al vento del Mediterraneo. La strada passa Tartus, dove si trova la flotta russa e dove, presumibilmente, è stato appena aperto un resort di lusso. Gli alawiti che vivono qui hanno perso molti figli nell’esercito. Ma non ci sono tracce visibili della guerra.

Homs, un tempo, era il centro della rivolta siriana e circa due terzi della città oggi è un deserto. Poche settimane dopo le proteste pacifiche iniziate a Daraa nel marzo 2011, la gente si è riversata sulle strade di Homs, dove la metà della popolazione è sunnita. Il regime ha risposto con brutalità, mobilitando i carri armati e sparando sulla popolazione. La città è stata fortemente contestata per tre anni, fino a quando la maggior parte dei ribelli, nel maggio 2014, sono stati autorizzati ad allontanarsi. Homs, da allora, è stata sotto il controllo di Assad, ad eccezione di un distretto in cui un manipolo di ribelli sono rintanati e con il quale è stato concordato un cessate il fuoco.

Come per Aleppo, interi quartieri sono stati così pesantemente bombardati che ora sono inabitabili; la demolizione è l’unica opzione in queste aree, che ricordano Dresda o Stalingrado dopo essere state distrutte nella seconda guerra mondiale. Il regime prevede di ricostruire la città con l’aiuto di un programma delle Nazioni Unite, in Siria il primo del genere, diretto da Ghassan Jansiz, e uno dei suoi consiglieri è la moglie, 35 anni, l’architetto Marwa al-Sabouni che indossa scarpe di cuoio leggero, cammina attraverso il centro storico di una città una volta pieno di vita. Oggi è vuoto, silenzioso come un cimitero.

Le massicce cupole del bagno romano, sono sopravvissute ai bombardamenti e al-Sabouni entra con cautela prima di fermarsi in una piccola stanza. Il governo vuole che Homs diventi il simbolo di un nuovo inizio per la Siria, la vita che nasce dalle ceneri dei morti. Ma questi piani, avranno successo? Anche Sabouni è scettica. “La città ha enormi problemi finanziari. Molte famiglie sono scappate e hanno ricostruito una vita altrove”. La gente, qui ha paura di iniziare qualcosa di nuovo, commenta Schaap.

Quando, cinque anni fa circa, la guerra ha raggiunto il suo quartiere, Sabouni racconta che stava giocando con i suoi figli nel soggiorno. Viveva, come oggi, in una piccola strada laterale Midan Street, in uno dei pochi quartieri che è rimasto relativamente intatto. C’è un piccolo negozio di pasticceria dall’altra parte della strada e poco distante un anziano che vendeva piatti e bicchieri di plastica. Quattro anni fa esplose un colpo di mortaio davanti alla sua abitazione e il vecchietto morì; in quel punto, anche i compagni di scuola di sua figlia giocavano a palla: furono ritrovati senza vta sul marciapiede.

Sabouni dice che non potrà mai dimenticare quel giorno: la gente iniziò a scappare, ma lei volle rimanere. Per 2 anni e mezzo, non hanno quasi mai lasciato l’edificio, leggevano a lume di candela. Ha scritto la tesi del dottorato sugli stereotipi dell’architettura islamica, studiando ciò che era stato distrutto e che vedeva dalla finestra.

A pochi isolati di distanza, Hissam Jabour e sua moglie affermano che sono contenti del cosiddetto accordo di riconciliazione, che nel maggio 2014 ha portato all’allontanamento dei ribelli. Ma Jabour dice anche:”Hanno distrutto il nostro paese ed è imperdonabile…”
Tutti erano felici prima della guerra, osserva Jabour, aggiungendo che non vi era alcun motivo per combattere.

Ma può esserci la riconciliazione in una società spezzata in modo così violento? Dopo la Seconda Guerra Mondiale, osserva Fritz Schaap, in Germania c’era la volontà condivisa di ricostruire il Paese. Questo senso della comunità non è presente in Siria:”Anche prima della guerra, non c’era nessuna comune identità siriana, c’era sempre la divisione tra le sette”.

Homs è stata sempre più conservatrice di Damasco. Gli esponenti delle varie religioni erano spesso in disaccordo. Ma c’è una cosa che avevano raggiunto, qualcosa di cui la gente di Homs e di tutta la Siria sono sempre andati fieri: le persone erano in grado di vivere fianco a fianco, in pace.

Le tensioni religiose oggi sono più che mai forti. Non a tutti è permesso di tornare nella città distrutta, il governo crea difficoltà ai sunniti, la maggior parte dei quali ha sostenuto la rivolta contro Assad per tornare nelle proprie case. I funzionari del regime, nonché le milizie filo-governative che controllano singoli quartieri, vogliono tenerli fuori. Chi desidera tornare è soggetto a controllo preliminare. Il fatto che un parente simpatizzasse con i ribelli è spesso sufficiente per bloccare qualsiasi rientro.

Nei piani di ricostruzione di Homs, non c’è spazio per coloro che scesero in piazza per rivendicare i propri diritti. I sunniti vedono questo atteggiamento come un’ulteriore forma di punizione da parte del regime di Assad.

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