ROMA – Una campagna militare condotta sulla base di “notizie spesso manipolate se non del tutto false”: è quella condotta dagli occidentali in Libia secondo Lucio Caracciolo.
In un articolo di fondo pubblicato su Repubblica lo studioso scrive che la posta in gioco decisiva nel Paese nord-africano, come prima in Iraq e in Afghanistan, è il dominio della “narrativa”. Cioè la propaganda.
“A determinare le scelte dei decisori nelle nostre democrazie ipersensibili ai media, sono sempre meno concezioni strategiche o anche solo considerazioni di medio periodo, ma reazioni immediate a notizie inverificabili o volutamente inverificate. Tale tendenza accentua la crisi di sovranità delle nostre democrazie, esposte alla potenza di fuoco dell’informazione/disinformazione in tempo reale”.
Oggi poi la situazione è aggravata dalla densità e velocità dei mezzi di comunicazione, che rendono “il meccanismo ingovernabile”. “Basti paragonare la ‘guerra al terrorismo’ di Bush in Iraq e la ‘guerra umanitaria’ di Sarkozy in Libia, cui Obama si è aggregato con riluttanza, salvo ritrarsene dopo un paio di giorni e ondeggiare poi fra opzioni più o meno improbabili”.
Nel caso della guerra in Iraq Washington, sostiene Caracciolo, confezionò una propria verità “autonoma e inconfutabile”. Come ammoniva un consigliere di Bush, rivolto a Ron Suskind, del New York Times: “La gente come lei vive in quella che noi chiamiamo la comunità basata sulla realtà”. Dove ci si illude “che le soluzioni emergano dal giudizioso studio di una realtà comprensibile. Oggi il mondo non funziona più così. Noi siamo un impero. E mentre agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi giudiziosamente studiate quella realtà, noi agiamo di nuovo, producendo nuove realtà, che voi potrete studiare. Noi siamo gli attori della storia. E a voi, a tutti voi, resta di studiarla”.
La guerra di Obama in Libia è ben diversa da quella di Bush in Iraq. A partire dal fatto che per la prima volta nella storia il presidente americano si è “accodato” al presidente francese.
Per di più la “narrativa” o propaganda che dir si voglia non veniva dalla Casa Bianca, ma dall’emiro del Qatar: “E’ stata la sua Aljazeera a dominare inizialmente l’informazione sulla Libia, così come poche settimane prima sull’Egitto, sulla base di testimonianze in diretta di protagonisti o sedicenti tali. Determinando il paradosso di un’emittente gestita dal più autocratico dei monarchi del Golfo che si autoinvestiva del rango di portabandiera della libertà nel mondo arabo”.
“Se oggi non sappiamo che fare in Libia, conclude Caracciolo, e se le popolazioni soffrono per effetto delle nostre ambiguità – l’idea di una “guerra umanitaria” (non) combattuta dall’aria forse comincia ad apparire un eccesso di cinismo anche alle più scaltrite cancellerie occidentali – lo dobbiamo anche al collasso informativo dell’Occidente. Varrebbe la pena di capire com’è stato possibile. Per non ricascarci”.