Libia. Gheddafi o ribelli, per le aziende italiane comunque un disastro

Un impianto dell'Eni in Libia

MILANO, ITALIA – Con gli aerei Nato che giornalmente decollano da basi italiane per bombardare le forze del colonnello Muammar Gheddafi, le relazioni commerciali di lunga data tra l’Italia e la Libia sono a rischio. Una corrispondenza da Milano del New York Times a firma di Angela Giuffrida afferma infatti che gli affari sono in pericolo sia se Gheddafi resta a potere, se i ribelli lo cacciano o se il Paese si spacca in due con i ribelli al potere in oriente e Gheddafi in occidente.

”E’ il peggiore scenario che si possa immaginare”, afferma Arturo Varvelli, ricercatore all’Istituto Internazionale di Studi Politici di Milano, secondo il quale l’Italia e i suoi interessi affaristici si troverebbero in una situazione sfavorevole in ogni caso. Secondo Varvelli – scrive il Nyt – se Gheddafi restasse al potere in Tripolitania sarebbe poco disposto a fare grossi affari con l’Italia come in passato, mentre i ribelli al potere in Cirenaica preferirebbero rivolgersi ad altri Paesi europei ”meno compromessi” col regime di Tripoli. ”La posizione dell’Italia riguardo alla crisi libica è progressivamente cambiata, e adesso è il peggior nemico del regime di Gheddafi”, aggiunge.

La lunga dominazione coloniale dell’Italia in Libia si è trasformata in una relazione di amore e odio nel 2008, quando il premier Silvio Berlusconi si scusò con Gheddafi per le malefatte del regime coloniale ed accettò di investire 5 miliardi di dollari in 20 anni nelle infrastrutture libiche. A Bengasi – ora capitale dei ribelli – i due firmarono un trattato di amicizia tra l’Italia e la Libia, e si accordarono per ampliare la cooperazione nei settori del petrolio, delle banche, delle costruzioni e perfino nel campo del calcio.

Dozzine di aziende italiane si offrirono per firmare lucrativi contratti, mentre l’Eni e l’Impregilo rafforzarono le loro posizioni libiche. L’Eni, in cui Gheddafi ha una partecipazione del 2 per cento, è la più grande azienda straniera che opera in Libia. Ma con il conflitto in atto nel Paese, il gigante energetico ha fatto sapere che dubita di poter raggiungere gli obiettivi che si è posto per il 2011.

Altre aziende italiane si sono fatte avanti quando è scoppiato il conflitto nel momento in cui Tripoli ha cercato di diversificare la sua economia, tralasciando il petrolio e concentrando le attività nel settore turistico e delle proprietà immobiliari. Così l’Ansaldo ha vinto un contratto per la costruzione di una ferrovia costiera tra Surt e Bengasi. In tutti gli altri progetti le aziende italiane erano favorite rispetto ad altri concorrenti europei, mentre si approfondivano le relazioni speciali tra Roma e Tripoli.

Ora, scrive il Nyt, le aziende italiane potrebbero finire per essere le più svantaggiate se il governo Gheddafi cadesse. Dice Varvelli: ”Le piccole e medie imprese contavano principalmente sulle ordinazioni libiche, ma immagino che a preoccuparsi di più sia l’Eni, per il quale il mercato libico era fondamentale. Il petrolio libico è di buona qualità e, data la vicinanza tra i due Paesi, i costi di raffinazione e trasporto erano bassi.

Altro pericolo per il governo di Roma e la fragile economia italiana è l’ampiezza degli investimenti libici. La partecipazione della Libyan Investment Authority in molte delle principali aziende italiane è salita costantemente negli ultimi anni ed ha sostenuto molte delle aziende colpite dalla crisi finanziaria del 2008. Sebbene non sia chiaro quale sarà l’esito del conflitto in Libia, la Camera di Commercio Italia-Africa stima che le aziende italiane potrebbero perdere fino a 140 miliardi di dollari se esso dovesse protrarsi. E secondo il Nyt, comunque vadano le cose, la conseguente instabilità in Libia avrà conseguenze a lungo termine per l’economia italiana e la sua relazione speciale con il suo vicino mediterraneo.

Varvelli però non dipinge un quadro totalmente pessimista. ”Esiste certamente il rischio – dice – che una ”nuova Libia” non sia ben predisposta verso l’Italia, vecchia amica di Gheddafi, ma il Paese avrà sempre bisogno di certe tecnologie e know-how per la sua industria petrolifera, e così sarà anche se Gheddafi restasse al potere.

Anche Giuseppe Sacco, direttore dell’European Journal of International Affairs a Roma, la vede meno nera per l’Italia. ”Gheddafi al potere dovrà ristabilire relazioni con svariati Paesi, a cominciare dai potenziali acquirenti di petrolio e gas”. E Sacco crede che per una serie di ragioni storiche l’Italia, qualunque l’esito del conflitto, sarà favorita nel riprendere a fare affari con la Libia, rilevando tra l’altro che tra i due Paesi esiste un oleodotto sottomarino che è nell’interesse di entrambi i Paesi far funzionare”.

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