Lula resta in carcere ma ora indizi, quasi prove, di come l’hanno incastrato

Lula resta in carcere in Brasile ma ora indizi, quasi prove, di come l'hanno incastrato
Lula resta in carcere ma ora indizi, quasi prove, di come l’hanno incastrato (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Lula resta in carcere, alla fin fine la sostanza può anche essere solo e soltanto questa. Ma in Brasile spuntano sempre più indizi, quasi prove di come sia stata tessuta una tela di rapporti e interessi convergenti nell’incastrare Lula. 

La seconda sezione del Tribunale Federale Supremo di Brasilia avrebbe dovuto analizzare il ricorso presentato dai legali dell’ex-presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, in carcere dall’aprile dello scorso anno, con cui la difesa ne chiede la liberazione a causa della nullità stessa del processo che lo ha portato a essere condannato per corruzione nel 2017 a nove anni e sei mesi in prima battuta, poi ridotti a otto anni e dieci mesi.

La Corte Suprema brasiliana ha però ritenuto di rinviare la discussione dell’istanza a data da definire. Con tutta probabilità la questione non sarà affrontata prima del mese di agosto e andrà ad aggiungersi all’ormai lunga lista di polemiche relative al processo al leader del Partito dei Lavoratori (PT).

Lula, infatti, è stato condannato e arrestato nel pieno della campagna elettorale che lo vedeva in testa in tutti i sondaggi per l’elezione alla carica di presidente della repubblica, carica poi conquistata per via elettorale dall’esponente dell’estrema destra Jair Bolsonaro. La richiesta presentata dagli avvocati di Lula, in realtà vecchia di un anno, aveva preso nuovo vigore a seguito della denuncia del sito investigativo The Intercept Brasil che il dieci giugno scorso ha pubblicato una fitta corrispondenza via Telegram in cui il giudice Sergio Moreno appare suggerire la necessità di un maggiore impegno al procuratore generale Deltan Dallagnol nell’adoperarsi a trovare prove della colpevolezza di Lula stesso. Il rapporto diretto tra parte giudicante e accusa in un processo penale, espressamente proibito dall’ordinamento brasiliano, è il punto su cui è incentrato il ricorso della difesa, che non manca di sottolineare da mesi come proprio Moreno sia stato scelto da Bolsonaro per la carica di ministro della Giustizia e della Sicurezza Pubblica e, nel mese di maggio, sia stato anche candidato per entrare a far parte della stessa Corte Suprema.

Un pool di magistrati e, pare, un pool di intenti. L’intero pool di magistrati che ha lavorato al processo al capo del PT nell’inchiesta Lava Jato [Autolavaggio,n.d.r.], iniziata nel 2014 e che ha portato all’incarcerazione dell’ex-presidente, è entrato nell’occhio del ciclone in conseguenza dll’ulteriore pubblicazione da parte dell’Intercept di conversazioni dalle quali pare emergere la volontà di impedire la possibile elezione di Lula.

Fernando Haddad, che dopo il suo arresto aveva raccolto il testimone come candidato delle sinistre, ha dichiarato che questo potrebbe “essere il più grande scandalo istituzionale della storia della Repubblica” facendo aperto riferimento ai rapporti tra magistratura e politica che emergerebbero dalle ultime scoperte. Insomma cresce il sospetto di una organizzata via giudiziaria per risolvere il problema politico Lula.

Nessun commento arriva dal Planalto, dove il presidente Bolsonaro alle prese con un’altra vertenza giunta in Corte Suprema, ha deciso di revocare il decreto con cui aveva consentito ai brasiliani di circolare con armi cariche in pubblico, promulgato inizialmente in contrapposizione al voto contrario del Senato della scorsa settimana.

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