Medio Oriente. Tra Stati Uniti ed Arabia Saudita peggiorano i rapporti

Pozzi petroliferi in Arabia Saudita

WASHINGTON, STATI UNITI – Ancor prima dell’invio lunedi di truppe saudite nel Bahrain per domare una protesta antigovernativa che Ryad teme possa contagiarla, l’amministrazione del presidente Barack Obama era sempre più preoccupata che la stabilità del regno, suo cruciale alleato, potesse essee minacciata dai tumulti regionali, dalle lotte interne per la successione all’ottantasettenne re Abdullah e dalla riluttanza ad intraprendere misure riformatrici.

Finora l’Arabia Saudita ha soffocato le proteste della sua popolazione con un misto di miliardi di dollari diretti all’occupazione e con una massiccia presenza poliziesca, oltrechè con avvertimenti, come quello del ministro degli esteri Saud Al Faisal, secondo il quale Ryad ”taglierà il dito di chiunque cerchi di disturbare il regno”. L’invio di duemila soldati nel Bahrain ha dimostrato che il ministro non parlava a vuoto.

Ma l’iniziativa di Ryad ha creato un’altra difficoltà per l’amministrazione Obama, che l’ha indirettamente criticata pur senza condannarla, non ultimo perchè l’Arabia Saudita è il suo più importante alleato arabo. Queste critiche sono però il segno di tensioni nella storicamente salda relazione con Ryad, che gli Stati Uniti stanno cercando di sospingere a varare riforme in senso democratico per scongiurare disordini.

Altri segni di tensione stanno emergendo in vari campi. I sauditi non hanno nascosto il loro scontento riguardo a come gli Usa si sono comportati durante la crisi egiziana che ha portato al rovesciamernto del presidente Hosni Mubarak, accusandoli di aver abbandonato un loro antico alleato. I sauditi sono inoltre infastiditi dai continui inviti di Obama a porre in atto i ”valori universali”, incluso il diritto del popolo a dimostrare pacificamente. ”Ma anche quando li avvertiamo dei pericoli insiti nei disordini nei vicini Yemen e Bahrain, i sauditi non ci stanno a sentire”, lamentano funzionari americani.

Il fatto è che i motivi scatenanti delle proteste regionali sono simili a quelli esistenti a Ryad: una famiglia regnante autocratica riluttante a condividere il potere e circondata da Paesi in tumulto. Al contempo c’è il problema della leadership: il re Abdullah è molto malato così come il principe ereditario Sultan bin Abdul Aziz Al Saud.

Le tensioni tra Stati Uniti ed Arabia Saudita sono cominciate quando il re Abdullah disse a Obama che appoggiare Mubarak era vitale – anche quando le sue truppe cominciarono a sparare contro i dimostranti – e il presidente ignorò il consiglio del sovrano. ”I sauditi se la sono presa personalmente”, ha rilevato un alto funzionario dell’amministrazione, ”perchè si chiedono cosa faremmo se la prossima volta toccasse a loro”.

Gli Stati Uniti, dopo la caduta dei regimi in Tunisia ed Egitto, continuano a dire ai sauditi che ”nessuno può essere immune” e che le timide riforme avviate da Ryad nel 2003 devono essere accelerate. Ma gli sforzi di Ryad per disinnescare le proteste vanno in tutt’altra direzione: una dilagante presenza poliziesca, che ha soffocato minuscole dimostrazioni venerdi scorso a Ryad e nella provincia orientale, un appello all’innato conservatorismo religioso nazionale ed una elargizione di miliardi di dollari per migliorare le condizioni della popolazione, senza però nessun cenno a riforme in senso democratico.

Nonostante gli screzi e le incomprensioni con Ryad, dimostrare all’Iran – nemico giurato dell’Arabia Saudita – che l’alleanza tra Wahington e il regno saudita resta salda è diventato un obiettivo critico per l’amministrazione Obama. In documenti pubblicati di Wikileaks il re Abdullah ha detto che gli Stati Uniti ”devono tagliare la testa del serpente” in Iran, e gli americani sanno che qualsiasi debolezza dell’Arabia Saudita, o peggio che mai tumulti popolari, farebbero il gioco di Teheran,che vuole diventare la maggiore potenza regionale.

Per questa ragione svariati funzionari dell’intelligence Usa ed esperti della regione hanno avvertito Washington che nei prossimi mesi l’amministrazione Obama dovrà procedere con estrema cautela nell’esortare i sauditi ad attuare riforme politiche e sociali.

 Osserva in proposito Ellen Laipson, presidente dello Stimson Center, un think tank di Washington: ”Le relazioni tra Stati Uniti ed Arabia Saudita hanno spesso conosciuto come adesso periodi di tensione, vedi le conseuenze dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Adesso il rovesciamento di Mubarak col beneplacito di Obama induce i sauditi a chiedersi se gli Stati Uniti sono un amico su cui possono davvero contare”.

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