ROMA – Che animale economico è Mitt Romney? È della razza dei “predatori”, cioè convinto della superiorità morale di un capitalismo senza regole, allergico alle tasse, sostenitore dei tagli alla spesa pubblica fuori controllo e fautore di una drastica correzione delle politiche assistenzialiste di Obama che hanno contribuito alla bomba del debito a 16 mila miliardi di dollari? O appartiene a quelle specie inafferrabili e capaci di mimetizzarsi a seconda dei rischi e delle opportunità di sopravvivenza che la natura gli offre e quindi in grado di sostenere per vent’anni la necessità di una regolazione dei salari sul modello della nostra scala mobile e una più forte presenza dello Stato regolatore nell’economia? Un falco o un camaleonte?
Nella settimana dell’investitura ufficiale quale candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti l’attenzione dei media americana è concentrata nella soluzione del rebus. Il New York Times del 29 agosto offre un primo interlocutorio giudizio sulla sua visione economica, alla luce, soprattutto, della recente e decisiva, in termini elettorali, definizione del ticket presidenziale con il giovane campione della destra e dei tea-party Paul Ryan, “the young gun” del conservatorismo più intransigente.
Se era noto il profilo di grande pragmatico di Romney, prima come raider milionario della finanza e poi come governatore del Massachussettes, non molti erano a conoscenza, prima dell’articolo del NYT, che fosse anche decisamente favorevole agli scatti automatici dei salari minimi legati all’inflazione, soluzione giusta a suo dire, per i lavoratori, per gli imprenditori e per la crescita dell’economia. In un suo libro, “No apology”, citò un episodio della sua carriera negli affari, quando dovette chiudere una società di riciclaggio di scarti industriali per la lentezza della burocrazia nel concedere le sovvenzioni promesse: il senso della difesa dell’intervento della mano pubblica era che giusti erano gli incentivi, da velocizzare i meccanismi farraginosi.
Ora, come si conciliano queste convinzioni, che a destra non è strano liquidare come “socialiste”, con la scelta di un Ryan, devoto fedele della “sacerdotessa” del capitalismo selvaggio e senza freni come Ayn Rand? L’intellettuale emigrata dalla Russia sovietica (1905-1982) ha esercitato un ruolo fondamentale nella cultura antistatalista americana, attraverso romanzi manifesto (La fonte meravigliosa, La rivolta di Atlante) che hanno messo in mora le false virtù dell’altruismo, del bene comune, a vantaggio di una glorificazione dei benefici dell’egoismo, quale motore insostituibile della ricchezza di una nazione, materiale, morale, spirituale. La sua etica “oggettivista” si fonda sull’assunto che solo chi segue il suo interesse sviluppa un surplus di beni e conoscenze da scambiare sul mercato: il perseguimento della realizzazione personale è un fine, non già un mezzo per giustificare chissà quali astrazioni.
Paul Ryan ha recuperato Rand come modello di virtù economica: è la sua più affidabile stampella culturale per negare validità all’assicurazione medica universale o altri indebite ingerenze dello Stato nella libera determinazione del sé e della libertà individuale. Su questioni etiche come l’aborto Ryan non segue la filosofa di origine russa (contro Reagan scrisse “chi nega il diritto all’aborto non può difendere nessun altro diritto”). A Romney serve un alfiere senza macchia della destra come Ryan, uno che infiamma e seduce. Romney ha il problema opposto: è giudicato competente in economia, ma non scalda, è visto come distante. Secondo l’editorialista Maureen Dowd, soffre del complesso di non sentirsi egli stesso “abbastanza conservatore”.
E per questo lascia volentieri parte della scena al suo aspirante vice. Nel frattempo, da buon pragmatico, sta aggiustando il tiro di certe sue affermazioni, specie in campo economico, in questo momento non spendibili. Gli scatti automatici dei salari minimi, ad esempio, possono essere evitati in caso di alta disoccupazione. Ha precisato che il Massachussetts non è l’America e per questo non riproporrà le penalizzazioni verso chi non si dotava di una assicurazione sanitaria. La sua ricetta, pragmatica di destra appunto, fatta di tagli alle spese accompagnate però da tagli alle deduzioni fiscali per le imprese e a alte tariffe per la concessione di licenze potrebbe risultare indigesta agli ammiratori devoti del pensiero economico di Ayn Rand, non esattamente degli sprovveduti, se fra di loro c’era anche un certo Alan Greenspan.