ROMA – Conclave. Il “motu proprio” che il dimissionario Ratzinger si sta accingendo a preparare, anticiperà i tempi dell’elezione del nuovo papa e, secondo alcuni (il quotidiano Libero in testa) per orientarne la scelta. Siamo nel campo delle ipotesi se non delle congetture: tuttavia, c’è chi vede in questo documento legislativo speciale, un modo per favorire alcuni, per esempio il gruppo dei “curiali” o in subordine quello degli “italiani”. A svantaggio di cardinali importanti provenienti dalle diocesi di mezzo mondo, le due Americhe e l’Asia soprattutto.
Solo il 28 febbraio la sede apostolica di Roma resterà vacante a partire dalle 20. Fino ad allora Benedetto XVI conserverà la “potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa” dice il diritto canonico. Il quale, a sua volta, se contempla le dimissioni di un papa, è però molto poco preciso sulle procedure di nomina del successore, essendo pensate consecutive alla morte di un pontefice. In effetti, i 15/20 giorni canonici prima di convocare il conclave, sono sempre serviti, fino alla situazione eccezionale di questi giorni, a smaltire il tempo dei funerali e consentire l’arrivo dei cardinali da tutto il mondo.
Il 28 febbraio, per l’addio di Benedetto, saranno riuniti a Roma tutti i cardinali ammessi all’elezione più gli ultra ottantenni. Insomma, dal momento che sono tutti lì, perché rinviare ancora? Tanto più che il portavoce Lombardi ha spiegato come proprio questo sia il senso del motu proprio: aggiornare la Costituzione alla nuova situazione (che potrebbe fra l’altro in futuro non essere più così eccezionale) limitando i rischi interpretativi. Oppure, ma questo nell’ambiente ecclesiastico è solo sussurrato, proprio per orientare di fatto la scelta, non consentendo laceranti divisioni e senza tirarla troppo per lunghe.
Favoriti, in questo caso, sarebbero i “curiali”. Libero ne indica in particolare due, il franco-canadese Marc Ouellet e l’ungherese Peter Erdo. Il primo guida anche la Congregazione dei vescovi, l’altro è primate a Budapest e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. A loro si vorrebbe affiancato, nel ruolo che è adesso di Bertone (e che secondo molti sarebbe l’abile tessitore di questa strategia), il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della congregazione del clero, o, in alternativa, uno dei due stranieri “perdenti”. Anche se, ricorda ancora Franco Bechis su Libero, il fronte bertoniano non è così compatto come sembra.
La prima votazione sarà molto importante per misurare il grado di consenso intorno ai papabili italiani, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola e Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della Cultura. Voti alla mano, si capirà se i due hanno qualche chance (invero poche) o faranno confluire quei voti verso uno dei due “curiali”. Chi potrebbe essere spiazzato dall’anticipazione dei tempi tecnici del Conclave viene da lontano. I nord americani, per esempio, se riuscissero a fare blocco, per la prima volta, con i sudamericani avrebbero le carte in regola per ambire al soglio. Gli scandali sulla pedofilia non sono un intralcio, anzi, paradossalmente, hanno allargato di più le distanze con la curia Vaticana.
L’arcivescovo di New York Dolan (insidiato nella corsa da quello di Boston O’Malley) sembra mettere le mani avanti quando dice che serve pazienza “ci sono molte questioni delicate da discutere”. Il fatto relativamente nuovo, è che fratture di tipo ideologico, tipo progressisti-conservatori, non sono più attuali, nel senso che sono tutti conservatori e sulla minaccia del moderno secolarizzato alla spiritualità dell’ecclesia, sono d’accordo con Benedetto XVI. Oggi più che mai è la geografia che conta, la provenienza culturale, il mondo nuovo uscito stravolto dalla globalizzazione.
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