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Navi e aerei italiani pronti, Frattini: “Senza di noi il raid in Libia non si può fare”

di admin |18 Marzo 2011 20:59

La portaerei Garibaldi

ROMA – Almeno cinque navi, sette basi e cacciabombardieri in grado di distruggere le postazioni antiaeree quando scatterà la ‘No fly zone’ sulla Libia: è questo – escluso ogni intervento di uomini o mezzi via terra – il contributo messo a punto dall’Italia, che intende partecipare ”fino in fondo” alle operazioni militari. Un contributo sostanzioso, deciso dal fatto che l’intera operazione non sarebbe fattibile senza l’Italia, geograficamente affacciata sul Nordafrica.

Lo sa bene il ministro degli Esteri Frattini che infatti ha commentato: ”E’ assolutamente evidente che senza l’Italia questa missione non si può attuare. La risoluzione 1973 dell’Onu sulla Libia, per essere attuata, richiede l’Italia: comprendete bene che non potevamo neanche immaginare, davanti ad un consenso unanime della comunità internazionale, di non consentire che partisse questa missione dell’Onu”. L’Italia è essenziale ma non la Germania, che si è astenuta sul voto all’Onu sulla risoluzione. “La differenza con noi – spiega ancora Frattini – è che senza la Germania questa missione si può realizzare, senza di noi no”.

L’Italia, ha sottolineato La Russa nelle sue comunicazioni alle Commissioni riunite di Camera e Senato, dispone di ”una forte capacità di neutralizzare radar e ipotetici avversari” in Libia ”e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo”, ha detto. ”L’Aeronautica militare è a disposizione per evitare che la popolazione civile subisca bombardamenti”. La ‘capacità’ cui fa riferimento il ministro della Difesa tecnicamente è definita SEAD, cioè ‘soppressione delle difese aeree nemiche’: è quello che l’Italia ha già fatto con i raid aerei in Kosovo e che potrebbe apprestarsi a ripetere in Libia.

Questa volta non con la Germania, come avvenne nei Balcani, ma insieme ad altri Paesi dotati di ‘assetti’ idonei’, Usa e Gran Bretagna in testa. I Tornado Ecr di stanza a Piacenza sono pronti da giorni. Secondo La Russa, l’attuazione di una ‘no fly zone’ ”comporta un dispiegamento di mezzi oneroso e impegnativo da tutti i punti di vista e quindi non può restare estranea la Nato, perché tre o quattro paesi non possono da soli esercitare un controllo capillare della zona”. Tuttavia, ha aggiunto, il governo intende comunque ”aderire” alla ‘coalizione di volenterosi’ – con Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna ed altri – che dovesse decidere azioni militari per dare attuazione alla risoluzione Onu.

E dunque, ”se la Nato organizzerà una ‘no fly zone’ – ha assicurato il ministro della Difesa – noi ci saremo, se lo faranno altri Paesi noi parteciperemo”. Discorso analogo per il ”blocco navale” volto a garantire l’embargo, che grazie alla risoluzione approvata la scorsa notte ”ha ora un titolo giuridico per l’utilizzo della forza”. Di questo dispositivo, sia se organizzato dalla Nato sia se frutto di un’iniziativa multilaterale, l’Italia farà sicuramente parte con diverse unità, già mobilitate a vario titolo in relazione alla crisi Libica. La portaerei Garibaldi (con a bordo i caccia Av8) è salpata venerdì da Taranto per dislocarsi in Sicilia, mentre nave Libra attraccherà sabato in un porto libico con aiuti umanitari.

Mobilitato anche il caccia Andrea Doria, che si occuperà della difesa aerea, e due unità che sono attualmente inserite nella Snmg1, la forza marittima della Nato: la fregata Euro e il rifornitore Etna. Tornando alle basi aeree, La Russa ha spiegato che sono sette quelle messe a disposizione dall’Italia: Amendola (dove sono schierati i caccia Amx e i velivoli senza pilota Predator), Gioia del Colle (base dei nuovi caccia Eurofighter, schierati anche a Grosseto), Sigonella e Aviano (due basi che servirebbero essenzialmente ad ospitare ‘assetti’ di altri Paesi), Trapani (aeroporto specificatamente attrezzato per gli aerei radar Awacs e sede di caccia intercettori F-16), Decimomannu (base logistica) e Pantelleria (la base aerea piu’ vicina alla Libia).

L’Italia, ha detto La Russa, metterà a disposizioni le basi non più solo per operazioni umanitarie, ma per attività militari vere e proprie, ”senza alcun limite restrittivo all’intervento, se necessario per far rispettare la risoluzione Onu” e salvaguardare i civili. Su questo, ha osservato, non si può traccheggiare, ”non possiamo dire ‘facciamo questo, facciamo quello’. Vogliamo contribuire a decidere che cosa si deve fare e una volta deciso vogliamo partecipare in pieno all’attuazione di questa decisione”.

”Possiamo intervenire in ogni modo – ha ripetuto il ministro della Difesa – con la sola tassativa esclusione di interventi via terra. La risoluzione dell’Onu vieta nella maniera più tassativa questa possibilità: quindi non solo per noi, ma per chiunque, non ci sarà concorso di fanteria, di carri armati, di Lince, di mezzi. Sul territorio libico non ci andrà nessuno”.

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