ROMA – Una piccola guerra, combattuta a colpi di ambasciatori, inviati e visite ufficiali: è una guerra combattuta sul territorio nazionale italiano senza che nessuno, governo in testa, se ne sia reso conto. E’ stata la “piccola guerra del nucleare”, quella che ha visto fronteggiarsi francesi da una parte e statunitensi dall’altra, con l’obiettivo di fare affari sulle nuove centrali nucleari italiane, quelle che il governo Berlusconi voleva costruire (anche se non si è mai saputo bene dove e quando), prima che il disastro giapponese obbligasse tutti ad una frettolosa retromarcia poi divenuta “sospensione”.
Il nucleare italiano era, insomma, un affare che faceva gola. Affare vinto e virtualmente chiuso dai francesi, pronti, dietro adeguato compenso, a fornire la tecnologia per fare le centrali. Non solo: la Francia era interessata (come Usa e Russia) anche al trattamento delle scorie. Come sia andata davvero la partita, combattuta un paio di anni fa, oggi lo scopriamo grazie a Wikileaks e ai documenti riservati (proibita la visione agli stranieri) diffusi dal sito di Julian Assange.
Tutto inizia nella calda estate del 2009. Dall’ambasciata Usa a Roma partono una serie di cablogrammi firmati da Elizabeth Dibble, di fatto la numero due dell’ambasciata. Si tratta della stessa persona che il nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, punto nel vivo per certi commenti sul suo stile di vita, bollò come “funzionaria di quart’ordine”. Le carte di Wikilieaks, provano che non lo è affatto.
In Italia, in quel luglio, si accelera sul nucleare: il 23 luglio arriva in Senato il via libera al rilancio e la nascita dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. La Dibble fiuta l’affare e sente “puzza” di francesi che vogliono banchettare da soli sul pasto delle nuove centrali italiane. Così scrive direttamente a una certa Sarah Lopp, responsabile proprio dell’energia nucleare per il dipartimento Usa che cura gli affari internazionali.
Dopo aver informato sul “semaforo verde” del nucleare in Italia, la Dibble spiega i dettagli relativi alla tempistica: il governo punta a formulare in appena sei mesi il piano che risolva tutti gli aspetti controversi, dalla sede delle centrali fino allo smaltimento dei rifiuti fino alla questione (centrale per gli interessi Usa) della tecnologia da scegliere per costruire.
I dubbi non mancano: alla Dibble sei mesi sembrano pochi per un progetto così ambizioso. Ha ragione. Con scrupolo, invita i suoi a non mollare l’osso: “Un impegno continuativo del governo statunitense è cruciale per sostenere gli interessi delle compagnie Usa che si occupano di nucleare interessate ad entrare nel mercato italiano”. La Dibble, quindi, individua uomo e data per gettare un ponte che aiuti la conclusione dell’affare.
L’uomo giusto, secondo la diplomatica, è Claudio Scajola, allora ancora ministro dello Sviluppo Economico e in procinto di partire per gli Usa ad ottobre 2009. “Questa – scrive la Dibble concludendo il suo primo cablo – è un’ottima occasione per coinvolgere l’Italia e gettare le basi per una solida cooperazione sul fronte dell’energia nucleare”.
Il cablogramma successivo è invece un riassunto sintetico ed efficace del rapporto tra Italia e nucleare: si parta dal pre-Chernobyl, quando l’Italia, scrive la Dibble “era un Paese all’avanguardia” nella tecnologia nucleare. Poi vennero il disastro in Urss, il panico, le verdure non commestibili e un referendum che decise per lo spegnimento degli impianti. Fino al luglio 2009.