WASHINGTON – Mai più in Iraq. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, lo ha detto in diretta tv, affermando che le forze americane non torneranno a combattere a Baghdad ma saranno inviati 300 consiglieri militari per aiutare il governo iracheno a impegnarsi in prima persona sul territorio contro l’avanzata dei miliziani jihadisti dell’Isil.
“Non abbiamo la capacità di risolvere la situazione con migliaia di truppe – ha precisato Obama – non c’è una soluzione militare per l’Iraq. Servono partnership efficaci per combattere i gruppi terroristici”.
Obama ha spiegato che gli Stati Uniti stanno lavorando per rendere sicura l’ambasciata e il personale americano nel Paese. Il piano prevede l’invio di 300 consiglieri militari, per aiutare le Forze locali nella formazione e nella consulenza. Per ora niente raid aerei, ma questo non significa che gli Usa non siano pronti ad “azioni mirate se e quando dovessero rendersi necessarie”. Anche l’Iran può dare una mano, giocando un ruolo costruttivo “se invia il nostro stesso messaggio e se evita di incoraggiare le divisioni fra le sette”.
Dopo giorni di voci e smentite sull’imminenza di bombardamenti con i droni, e anche con i caccia dispiegati sulla portaerei George H.W. Bush nel Golfo, Obama oggi ha ribadito che la chiave per risolvere la crisi irachena è di carattere politico, diplomatico, e ha anche deciso di inviare nel fine settimana il segretario di Stato John Kerry nella regione, per una serie di incontri con i leader mediorientali alleati. Obama ha infine spiegato che gli Usa stanno già lavorando con tutti gli alleati moderati per mettere a punto strategia comune, anche sul fronte della lotta al terrorismo.
Intanto torna l’incubo armi chimiche nella regione mediorientale. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, gli estremisti sunniti in Iraq hanno infatti messo le mani sul principale sito in cui l’ex dittatore Saddam Hussein produceva micidiali strumenti di morte. Quei gas che sterminarono intere comunità durante gli otto anni di guerra con l’Iran, dal 1980 al 1988.
I responsabili del Pentagono e del Dipartimento di Stato si sono precipitati a precisare che il vecchio complesso di Al Muthanna è oramai dismesso. Anche se vi sono ancora immagazzinate armi e munizioni accatastate l’una sull’altra, in gran parte ricoperte dalla ruggine.
E’ quel che rimane del terribile arsenale chimico di un tempo, lì dove si producevano bombe a base di sarin, gas mostarda e gas nervini. Ma ora sarebbero rimaste solo attrezzature e componenti “vecchie, contaminate e molto difficili da spostare”, assicurano a Washington, sottolineando come difficilmente i ribelli dell’Isis sarebbero in grado di ricavarne qualcosa di realmente pericoloso.
Ciò non toglie che una certa ansia serpeggia: quella che i terroristi possano impossessarsi di materiale potenzialmente letale. Un timore che si unisce all’allarme armi chimiche mai tramontato in Siria, nonostante l’accordo di Ginevra tra Stati Uniti e Russia che ha spinto Assad ad impegnarsi per la loro distruzione.
La presa di un sito così delicato da parte dei sunniti, comunque, è l’ennesima dimostrazione del caos che regna in Iraq, con le forze di sicurezza del governo di Baghdad incapaci di difendere tutto ciò che si trova sulla strada dei ribelli. Sarebbe davvero un paradosso se quelle armi di distruzione di massa per cui l’America dichiarò guerra all’Iraq di Saddam Hussein nel 2003 finissero ora in mano ai gruppi islamici vicino ad al Qaida.
E lo spettro di un nuovo incubo legato al possibile impiego di armi chimiche nella regione mediorientale riaccende anche le polemiche sulla decisione di ritirare nel 2011 tutte le truppe Usa dall’Iraq, quelle che ora avrebbero potuto difendere i siti più delicati. “Non siamo noi che abbiamo deciso, ma il governo iracheno che negò l’immunità ai nostri soldati”, si è difeso Obama.