ROMA – Obama s’inchina al Papa dei poveri. Ma dice all’Europa: “La libertà non è gratis”. Sbaglierebbe, ammonisce un editoriale del Wall Street Journal, chi confidasse in una specie di rapporto telepatico fra i due grandi della terra Obama e Papa Francesco, i leader della nazione più potente del mondo e l’autorità spirituale più ascoltata globalmente. L’enfasi sui diritti dei più poveri (dagli esclusi ai migranti), il riconoscimento della dignità dei più vulnerabili e discriminati (inclusi i gay), l’aureola di icone pop globali, non deve far dimenticare come negli Stati Uniti le istanze perseguite dai vescovi cattolici rechino in agenda la contrarietà all’aborto, il rifiuto dei matrimoni omosessuali, perfino l’ostilità al Medicare obamiano considerato un modo surrettizio per mutualizzare la spesa pubblica per il controllo delle nascite (basta dare un’occhiata al sito della Conferenza dei vescovi Usa, il corrispettivo della Cei).
Il Papa viene spesso forzatamente associato a piattaforme ideologiche progressiste che, al di là di alcuni accenti enfatici, non trovano riscontro nel messaggio della Chiesa di Roma: semmai, la rivoluzione di Francesco è quella di assicurare ai fedeli “pastori, non burocrati o funzionari di governo”. Le splendide parole, tipiche dell’oratoria obamiana, con cui anche oggi (intervista al Corriere della Sera) ribadisce di essere rimasto “huge impressed” (enormemente impressionato) dalla figura del Papa, confermano l’attenzione verso un personaggio sfidante proprio sul piano dello stile, della personalità, in grado di destare l’attenzione e il rispetto mondiali: meno dottrina, più speranza. E del resto “the audacity of hope” (il coraggio della speranza) era il fortunato slogan del primo Obama.
Dato a Cesare quel che gli compete, il Papa offrirà ascolto e chiederà più coraggio nell’affrontare i temi della disuguaglianza e della povertà. Obama dal canto suo, potrà illustrare i suoi progetti e i suoi risultati, perché la lotta alla disuguaglianza è un tema cardine della sua politica. Un minuto dopo, business as usual. Perché a Bruxelles, a Roma (dove è arrivato insieme al suo vice Kerry, uno della nutrita pattuglia “cattolica” dell’Amministrazione Obama) devono ascoltare bene qual è il messaggio dagli Usa, soprattutto in tempi di crisi economica e rigurgiti di guerra fredda: la stipula del trattato TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e cioè il gigantesco mercato unico Usa-Ue per merci, investimenti e servizi, e soprattutto ricordare alle cancellerie europee che “la libertà non è gratis”. Obama chiederà conto dell’entità e dell’efficienza delle forze armate dei paesi che aderiscono alla Nato. A prescindere dalla situazione ucraina, gli Usa sono preoccupati dai tagli alla Difesa, in particolare i tagli alle forniture dei caccia F-35.
La “libertà” e, domani, il gas per rimediare all’impasse con la Russia, non sono gratis: la liberalizzazione del mercato Usa-Europa significherà un drastico ridimensionamento degli standard di qualità e sicurezza su prodotti agricoli, alimentari, industriali, energetici. Vorrà dire liberalizzazioni massicce e scomparsa delle protezioni cui l’Europa si era abituata. La scomparsa della denominazione d’origine sui prodotti nazionali. Del vincolo sulle coltivazioni Ogm.
I commenti sono chiusi.