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Burning Day trappola per Obama. “Lui mi prega, io non brucio il Corano”. Il mondo rischia una mattanza

di Mino Fuccillo |9 Settembre 2010 20:02

Obama ospita musulmani alla Casa Bianca per l'Iftar, la cena che chiude il Ramadan

E’ una trappola per Obama, ma il presidente americano ha il dovere di cascarci dentro. Il pastore (“reverendo” proprio no) Terry Jones ha fatto sapere che non delizierà il suo piccolo gregge (cinquanta persone che lo seguono sempre come coorte pretoriana, però già diecimila i fans su Facebook) con il pubblico falò del Corano se e solo se la Casa Bianca pubblicamente gli chiederà di farlo. Vuole un “riconoscimento politico”, in stretta assonanza con la logica e il metodo adottato dai terroristi che sequestravano aerei e persone. Ma non solo, vuole di più, mira più in alto. Se Obama pubblicamente e solennemente lo pregherà di non bruciare nella data choc 11 settembre il libro sacro dell’Islam, un attimo dopo la destra americana, quella dei Tea Parties, quella delle tv e delle radio in guerra e sovversione dichiarata contro il governo di Washington e i democratici, quella che condizione e seleziona di fatto il partito e i candidati repubblicani, griderà alla “prova provata”: Obama difende il Libro dei musulmani, Obama difende il “suo” Libro, Obama è ostaggio se non complice dei musulmani. Quanto serve per riaccendere altro fuoco, quello da appiccare alle elezioni di novembre negli Usa.

Elezioni che Obama e i repubblicani rischiano di perdere ma per tutt’altro motivo. La disoccupazione negli Usa non cala, il valore delle case continua a scendere, il patrimonio delle famiglie statunitensi e i loro consumi sono sottoposti a continua erosione. L’America dunque rimprovera non senza rancore ad Obama il suo “we can”, il suo “noi possiamo”. Finora Obama non ha potuto. La sua amministrazione ha sì impedito che la crisi finanziaria diventasse disastro, l’economia è stata tenuta in vita ma non è guarita. La pubblica opinione avverte più la delusione che lo scampato pericolo. Negli ultimi giorni Obama sta provando a reagire: 50 miliardi di opere pubbliche, fine del taglio delle tasse per chi ha redditi superiori ai 250mila dollari. Soprattutto sta provando a reagire ricordando al ceto medio americano che sono state le amministrazioni repubblicane ad impoverirlo e indebitarlo. Appena partita questa sua controffensiva dall’esito comunque incerto, ecco che è apparso il pastore Terry Jones e la sua promessa di dar fuoco, davanti al mondo, al Libro dell’Islam.

Davanti al mondo che aspetta la scintilla per prendere fuoco. Il premier indonesiano ha chiesto agli Usa di impedire il rogo. Il generale Petraeus che comanda i soldati usa in Afghanistan ha detto che i suoi uomini pagheranno con il sangue quel gesto, l’India si prepara ad oscurare le immagini televisive, teme che siano la miccia per nuove mattanze tra induisti, musulmani e cristiani. L’Iran, perfino l’Iran, ha la faccia tosta di esigere il rispetto dei diritti umani, tutto il Medio Oriente trattiene il fiato. E non è un modo dire: a suo tempo bastò una maglietta di Calderoli per fare decine di morti in Libia. Fatte le proporzioni, quanti morranno nelle violenze, rivolte e attacchi dopo che Terry Jones avrà acceso il “Burning day”?

Ecco perchè Obama deve fermare quel signore con i baffi, la “pistola carica nella cintura” (lo dice lui stesso) e la fiamma nelle mani. Deve farlo, anche se è una trappola. Anche se dovesse costargli qualche voto, a lui che di voti già sembrano mancarne troppi. Perderà dei voti, salverà delle vite: in Asia, Africa, forse perfino in Europa e negli stessi Usa. L’11 settembre 2010 non può essere ribattezzato con altro sangue e altro odio.

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