TEL AVIV – La Palestina di Abu Mazen viene riconosciuta “Stato” osservatore dell’Onu e l’Israele di Benjamin Netanyahu annuncia la costruzione 3.000 nuove case per i coloni in Cisgiordania.
Un botta e risposta a fatti tra i due Paesi che non sono (ufficialmente) due Paesi.
Erano passate solo poche ore dal voto a larga maggioranza al Palazzo di Vetro dell’Onu a New York quando Tel Aviv ha annunciato la decisione. Forse in risposta stizzita ai festeggiamenti del popolo palestinese in Cisgiordania.
Immediata la replica di Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp: “Si tratta di un’aggressione israeliana contro uno Stato (la Palestina, ndr) e il mondo deve assumersi le proprie responsabilità”.
Parole di biasimo sono arrivate anche dall’alleato Usa, che a New York ha votato “no”: “E’ un’iniziativa controproducente che ostacola la ripresa dei negoziati”, ha tagliato corto la Casa Bianca.
Nei confronti del premier Netanyahu e del suo ministro degli Esteri Avigdor Lieberman i quotidiani indipendenti israeliani sono impietosi.
Il premier, scrive Yediot Ahronot, ”non ha saputo valutare la collera maturata verso Israele nel mondo”, cosa che lo ha trascinato a ”un fallimento politico”. Secondo Haaretz, il voto al Palazzo di Vetro rappresenta un segnale evidente, in particolare da Paesi amici di Israele, che ”la pazienza verso l’occupazione dei Territori è terminata, che non se ne può più dei progetti di costruzione nelle colonie accompagnati da dichiarazioni puramente verbali su una presunta ‘mano tesa’ ai palestinesi”.
Il giornale riferisce dello ”sbigottimento” diffusosi fra gli stessi funzionari del ministero degli Esteri nell’apprendere, a poche ore dal voto, che la Germania e l’Italia avevano cambiato idea: la prima astenendosi, la seconda votando a favore della Palestina.
Haaretz ironizza poi sul viceministro degli Esteri israeliano, il ‘falco’ Dany Ayalon, che ieri ha informato a modo suo i giornalisti di quanto accaduto a New York millantando ”la sconfitta storica subita dai palestinesi”. Un tono che il giornale liberal israeliano paragona irridente a quello di anni lontani del ministro per l’Informazione di Saddam Hussein, in grado di attribuire immaginari trionfi al regime baathista iracheno mentre a Baghdad i primi blindati statunitensi già comparivano alle sue spalle.
Ma a meno di due mesi dal voto anticipato del 22 gennaio 2013, Netanyahu e Lieberman (ormai uniti da un patto elettorale di ferro) non sembrano comunque disposti a dare segni di ‘debolezza’. E, malgrado il fine settimana di riposo, hanno voluto dimostrare che il loro governo non fa passi indietro.
Hanno così subito autorizzato la costruzione di 3.000 nuovi alloggi nella zona di Maaleh Adumin (città-colonia a Est di Gerusalemme) e hanno anche fatto trapelare di aver ripreso in mano il progetto ‘E-1’: un progetto concepito nel 1995 dal governo laburista di Yitzhak Rabin, ma poi archiviato per le pressioni internazionali, che prevede di fatto la fusione del tessuto urbano di Gerusalemme, ben oltre il settore orientale a maggioranza araba della Città Santa, con Maaleh Adumim: ossia la costituzione di un ‘cuneo’ che separerebbe la Cisgiordania del nord (la Samaria biblica) dalla meridionale (l’antica Giudea).
Sembra dunque montare la determinazione ad andare ad un confronto aperto con la ‘nuova Palestina’ di Abu Mazen. Anche a dispetto dei timidi segnali di buona volontà che il rais ha provato a lanciare, assicurando da New York di non voler ricorrere alla Corte penale internazionale (Cpi) contro Israele, salvo in caso di palese ”aggressione” militare, e aprendo a un negoziato diretto solo a patto che lo Stato ebraico fermi quella colonizzazione che per ora la sua leadership mostra di voler continuare a estendere.