NEW YORK – Un voto all’Onu che potrebbe segnare la storia del Medio Oriente, di Israele e dei Territori palestinesi in particolare, e di tutto lo scacchiere internazionale: perché il 29 novembre al Palazzo di Vetro di New York i membri della comunità internazionale sono chiamati a votare sullo status alla Palestina di “Stato osservatore”, con un riconoscimento, seppure simbolico, di uno Stato palestinese. L’Italia ha detto che voterà sì.
Si tratta di un voto storico per il leader dell’Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen). E’ atteso il sì dei votanti. Anche se l’Europa resta divisa. L’Italia invece spiega: “La decisione dell’Italia di sostenere la richiesta palestinese all’Onu non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele”. Lo ha sottolineato il premier Mario Monti in una telefonata a Netanyahu garantendo ”il forte impegno a evitare qualsiasi strumentalizzazione” contro Israele alla Cpi.
Si tratta comunque del primo passo per un riconoscimento della Palestina come membro Onu a pieno titolo. Secondo le previsioni dovrebbe arrivare un sì da almeno i due terzi dei 193 Stati membri: gran parte degli africani, degli asiatici e tutti i Paesi emergenti, oltre ovviamente ai musulmani, sono per il sì.
Il leader dell’Autorità palestinese ha passato la vigilia del voto dell’Assemblea generale dell’Onu proprio a New York, incontrando diversi interlocutori (tra cui il segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon) e cercando di strappare più consensi possibile alla risoluzione.
Abu Mazen ha incontrato in un albergo anche i rappresentanti dell’amministrazione Obama, tra cui il vicesegretario di Stato americano, William Burns, e l’inviato Usa in Medio Oriente, David Hill: un incontro molto cordiale, ma entrambe gli hanno ribadito il fermo ‘no’ degli Stati Uniti alla risoluzione. Considerata, come ha ripetuto la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, ”un errore”, una mossa controproducente che alla fine non farà altro che rallentare il processo di pace. La posizione di Washington, perfettamente in linea con quella israeliana, è nota: uno Stato palestinese può nascere solo dal negoziato tra le parti.
Si presenta divisa al voto, invece, l’Europa. Sì dalla Francia, seguita da Paesi come la Spagna e, fuori dall’Ue, la Russia, che ritengono sia questa la strada per riavviare un serio negoziato per la pace. No dalla Germania, che, per bocca del portavoce della cancelliera Angela Merkel, ha confermato che non sosterrà la risoluzione presentata da Abu Mazen, ma si asterrà.
Per il premier israeliano Benjamin Netanyahu il voto all’Onu sulla Palestina non cambierà alcunché sul terreno”. Secondo Netanyahu quel voto ”non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà ”. Comunque ”la mano di Israele resta tesa verso la pace”, ha assicurato.
L’ambasciatore israeliano all’Onu, Ron Prosor, non ha intanto risparmiato dalle colonne del Wall Street Journal online parole sprezzanti contro l’istanza di Abu Mazen: liquidando l’ipotetica futura Palestina come uno Stato che non avrebbe ”il controllo sul suo territorio, uno Stato terrorista, uno Stato non democratico e in bancarotta” e ammonendo l’Assemblea generale a ”riflettere bene sulle conseguenze” del suo voto.
Il Regno Unito invece, come ha spiegato il ministro degli Esteri William Hague, ha annunciato che Londra si asterrà se non verranno accolte alcune condizioni, tra cui quella di rinunciare a ricorrere alla Corte Penale Internazionale (Cpi) contro Israele. Perché diventando Stato osservatore dell’Onu per i rappresentanti palestinesi si apriranno le porte di trattati e organizzazioni internazionali, tra cui appunto la Cpi. E i palestinesi non hanno alcuna intenzione di rinunciare a questa prerogativa, anche se non la danno per immediata: dipenderà dalle scelte di Israele sul fronte degli insediamenti nei Territori palestinesi occupati.
L’obiettivo dell’Autorità palestinese, come è scritto nel testo di risoluzione presentato da Abu Mazen, prevede comunque una ripresa dei negoziati di pace, che portino a un accordo definitivo in grado di garantire la costituzione di uno Stato palestinese che viva in pace con Israele e in sicurezza. Il tutto sulla base dei confini del 1967, come auspicò a inizio mandato anche il presidente americano, Barack Obama.
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