ROMA – Aprirsi alla modernità è un dovere, papa Francesco a colloquio col fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, dopo lo scambio epistolare avvenuto tra i due la scorsa settimana, parla della sua riforma della Curia che, a suo dire, “è troppo vaticano-centrica”. Ripartire dal Concilio, aprire alla cultura moderna, è la strada. Il proselitismo è “una solenne sciocchezza”, bisogna conoscersi e ascoltarsi.
Alla vigilia del “G8 della Chiesa” – il Consiglio degli 8 cardinali si riunirà da oggi a giovedì col pontefice per una riforma collegiale della Curia – Jorge Mario Bergoglio afferma che i “Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato”.
Poi analizza i mali del mondo. La Chiesa si senta ”responsabile sia delle anime sia dei corpi”, dice Bergoglio. Per il pontefice i giovani senza lavoro e gli anziani lasciati soli sono il problema ”più urgente” e ”più drammatico” che la Chiesa ha davanti, anzi, sono ”i più gravi dei mali” del mondo in questi anni.
Bergoglio sottolinea ”che nella società e nel mondo in cui viviamo l’egoismo è aumentato assai più dell’amore per gli altri”, ecco perché ”gli uomini di buona volontà debbono operare, ciascuno con la propria forza e competenza, per far sì che l’amore verso gli altri aumenti fino ad eguagliare e possibilmente superare l’amore per se stessi”.
In questo senso la politica è chiamata in causa. Il ”liberismo selvaggio’‘, afferma, non fa ”che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento ed anche, se fosse necessario, interventi diretti dello Stato per correggere le disuguaglianze più intollerabili”.
Francesco parla dei suoi studi universitari e di una sua insegnante ”comunista fervente”, che ”fu poi arrestata, torturata e uccisa dal regime” argentino. Il ”materialismo” del comunismo ”non ebbe alcuna presa su di me – sottolinea Bergoglio – Ma conoscerlo attraverso una persona coraggiosa e onesta mi è stato utile, ho capito alcune cose, un aspetto del sociale, che poi ritrovai nella dottrina sociale della Chiesa”.
Il papa racconta a Scalfari anche dei concitati istanti prima della sua nomina al Conclave: “Prima dell’accettazione, chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza”, “una grande ansia mi aveva invaso”. “Chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero – aggiunge Francesco, – anche quello di rifiutarmi ad accettare la carica”. “Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembrò lunghissimo”. Poi la sua elezione al soglio di Pietro: l’ “Habemus Papam”.
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