Petrolio e nucleare. La guerra fredda Arabia Saudita-Iran si gioca a colpi di barili

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Il principe saudita Turki al Faisal (Ap photo/Lapresse)

RYADH – Alla monarchia saudita, quella degli sceicchi arabi sunniti, non va proprio a genio il piano nucleare iraniano del presidente Mahmoud Ahmadinejad (persiano e sciita). L’Arabia si opporrà a tutti i costi, con tutti i mezzi possibili, primo fra tutti il petrolio.

Dalla sua, Ryadh ha l’oggettiva superiorità energetica in termini di oro nero e gestione dei commerci nella regione mediorientale: se volesse, potrebbe ostacolare le esportazioni di greggio iraniane.

“L’Iran è molto vulnerabile nel settore petrolifero e proprio su questo punto vogliamo spremere il governo attuale di Teheran”, ha annunciato il principe Turki al-Faisal, l’ex ambasciatore saudita negli Stati Uniti.

Se davvero l’Iran si spingesse troppo oltre con il suo programma nucleare l’Arabia non resterebbe ferma, anzi. Stando alla visione arabo-sunnita del Medio Oriente, l’Iran sciita e per di più persiano di cultura sarebbe accerchiato da tutti, o quasi.

La primavera araba, i moti di ribellione che hanno attraversato il mondo musulmano dalla Tunisia al Bahrein, in realtà non hanno fatto altro che inasprire la rivalità tra Ryadh e Teheran che per ora si fronteggiano da lontano, sul Golfo persico, con i paesi vicini come Siria e Yemen che fremono.

E’ una guerra fredda che dura da anni, una guerra in seno all’islam, quella fra sunniti e sciiti, quella fra due regimi economicamente forti che hanno gli Usa di mezzo: l’Arabia fa affari con Washington, l’Iran post-rivoluzionario di Khomeini demonizza l’America come il Grande Satana.

Sia l’Iran che l’Arabia si sono eretti a punti di riferimento per milioni di persone, a guida di Paesi satellite nella regione. Ciò che irrita Ryadh è che Teharan continui a sostenere gli sciiti oggi in Bahrein come anni fa in Iraq negli scontri interreligiosi. Se davvero ottenesse l’atomica il regime degli ayatollah sarebbe un grosso problema e una guerra a quel punto, almeno nell’ottica saudita, sarebbe inevitabile.

Se i files di Wealikeaks avevano raccontato qualche tempo fa dei complotti sauditi e delle pressioni sugli Usa per un attacco mirato all’Iran ((il re Saudita Abdullah “ha ripetutamente esortato gli Usa ad attaccare l’Iran per mettere fine al suo programma di armamento nucleare”), in realtà l’odio profondo dei due regimi è evidente da tempo, anche se finora non si era nutrito di un ricatto così esplicito come quello del principe Turki al Faisal: o blocca il nucleare o le esportazioni di petrolio saranno una vera grana.

Ryadh ha sempre rifiutato l’idea di usare le sue riserve energetiche come arma strategica, almeno nella propaganda, ma le recenti pressioni sull’Opec per aumentare la produzione di greggio in realtà dimostrano l’opposto: con o senza l’appoggio degli altri membri andrà avanti e di fatto si è sganciata dal cartello degli altri paesi, sbrodolando petrolio dai pozzi. A questa mossa, ovviamente, l’Iran si è opposto.

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