PORTLAND – Proiettili di gomma, cariche della polizia, arresti a raffica. Va in scena il secondo giorno di proteste negli Stati Uniti per l’elezione di Donald Trump. Questa volta l’epicentro è a Portland, in Oregon. Ma proteste sono in corso, anche se in modo per ora meno violento, anche in altre zone degli States da est a ovest, da Washington a Los Angeles, passando per New York e Philadelphia.
E Trump, diventato presidente con 59milioni e spicci di voti (qualche decina di migliaia in meno della Clinton ma non conta nulla) se la prende con i media accusandoli di aver “orchestrato e incitato il dissenso”.
Da Portland, nella mattinata (italiana) dell’undici novembre, arrivano notizie inquietanti. Sarebbero già 29 i manifestanti arrestati, secondo quanto riporta l’account Twitter della polizia locale. Ma è la tensione ad essere altissima: la polizia, per provare a disperdere i manifestanti, avrebbe sparato proiettili di gomma e spray urticanti al peperoncino.
Colpisce, a vederla da migliaia di chilometri di distanza, la veemenza di questa protesta. Trump, piaccia o no, ha vinto delle elezioni democratiche. Elezioni in cui in tanti hanno scelto di non votare. E tanti di quei manifestanti che oggi si beccano proiettili di gomma dalla polizia di Portland, hanno liberamente scelto di non votare. Magari perché giudicavano la Clinton “uguale o quasi a Trump”.
Così su Twitter Trump mostra il suo disappunto per quanto sta accadendo in tante aree degli Usa. Lo fa parlando di “professionisti della protesta incitati dai media”:
Just had a very open and successful presidential election. Now professional protesters, incited by the media, are protesting. Very unfair!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 11 novembre 2016