Pussy Riot contro Madonna e vendita di magliette: “Non abbiamo ricevuto soldi”

Pussy Riot (Foto LaPresse)

ROMA – “Compra una maglietta per aiutare le Pussy Riot“. La raccolta di denaro per pagare le spese legali delle dissidenti con passamontagna contro bcondannate al carcere per teppismo per odio religioso è partita dalla popstar Madonna. Ma Yekaterina Samutsevich, 30 anni, una delle tre ragazze condannate ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna somma, scrive La Stampa.

Non solo Madonna, gadget e magliette per sostenere le Pussy Riot sono vendute in tutto il mondo ed ora la Samutsevich, la cui condanna è stata sospesa, e le compagne  Nadia Tolokonnikova, 23 anni, e Maria Alyokhina, 24, che scontano 2 anni di carcere in campi di lavoro, denunciano la commercializzazione della propria protesta.

Samutsevich ha dichiarato, riporta la Stampa:

“Nessuno ha fatto accordi con me, né con Nadia o con Masha – ha detto la Samutsevich a proposito delle T-shirt -. L’unica cosa che posso dire è che noi mai venderemo magliette con la nostra immagine. Quelle in circolazione non siamo noi a venderle. Sto cercando di scoprire dove vada a finire il ricavato della vendita di Madonna”. Le ragazze della band non accusano la star di atti illeciti ma pensano che sia stata raggirata da gente che millanta un’autorizzazione che non ha.

Secondo una portavoce di Madonna la popstar ha avuto il permesso della band e il ricavato della vendita, 15 euro per ogni maglietta, sarà devoluto per le spese legali. A creare confusione sarebbe stato il “battibecco” tra le cantanti in carcere e i loro ex avvocati, scrive La Stampa:

“Accuse di cercare di lucrare sulla notorietà della band hanno causato anche una sgradevole lite tra le ragazze in carcere e i loro legali. Mark Feigin, l’avvocato della Tolokonnikova, ha cercato di registrare presso le autorità russe il marchio delle Pussy Riot come proprietà di una società cinematografica posseduta da sua moglie. Fegin ha detto che la mossa era diretta a proteggere il marchio ma la Tolokonnikova, dal carcere dov’è reclusa, ha denunciato la mossa. «Fermate la registrazione del marchio! Fermate questa follia! – ha detto -. Sono profondamente disgustata dalle discussioni finanziarie. Il denaro è polvere. Se qualcuno ne ha bisogno, lo prenda… Io ho bisogno di libertà, ma non per me. Per la Russia»”.

Contrariata anche la Samutsevich, che parlando di Fegin ha detto alla stampa

“Noi avevamo discusso soltanto della protezione del copyright, non sapevo nulla della registrazione del marchio. Avevo completa fiducia in lui… Adesso capisco di aver fatto un errore”.

Secondo le accuse della stampa russa, Fegin, due avvocati e Piotyr Verzilov, il marito della Tolokonnikova, avrebbero chiesto decine di migliaia di euro per collaborare a un documentario della Bbc sulle Pussy Riot, documentario che sarà proiettato al prestigioso Sundance Film Festival. La band però si schiera contro Verzilov, reo di aver dato un‘idea sbagliata delle Pussy Riot, in una dichiarazione ufficiale rilasciata dal carcere:

“Qualunque pretesa di rappresentarci e di agire col nostro consenso è una menzogna. Solo una donna in un passamontagna può parlare e agire per conto della band”.

 

Gestione cookie