ANKARA – Mentre le Chiese di tutto il mondo celebravano la Pasqua, il popolo turco si è recato alle urne per il referendum costituzionale sul presidenzialismo, voluto da Recep Tayyip Erdogan. Il sì ha vinto sul filo del rasoio con il 51,22%, secondo i dati diffusi da Anadolu. Ancora in corso il conteggio dei voti degli emigrati.
Il principale partito di opposizione in Turchia, il socialdemocratico Chp, ha reso noto che contesterà il 37% dei voti espressi, dopo che il Consiglio elettorale supremo (Ysk) ha autorizzato, per la prima volta in Turchia, il conteggio tra i voti validi di schede non timbrate. “I nostri dati indicano una manipolazione tra il 3 e il 4%, da stamani abbiamo individuato 2,5 milioni di voti problematici”, ha denunciato il vice-leader dei kemalisti del Chp, Erdal Aksunger
Dopo settimane di campagna elettorale infuocata, dentro e fuori i suoi confini, oltre 55 milioni di elettori sono stati chiamati alle urne. La grande scommessa di Erdogan, che con la vittoria in tasca, potrà restare al potere fino al 2034, era giunta alla prova delle urne tra molte incertezze. Negli ultimi giorni, la tendenza si è rovesciata a favore del sì, dopo una partenza in sordina. E il risultato restituisce il ritratto di un Paese spaccato a metà, che Erdogan non esiterà ad allontanare dalla Repubblica pensata dal fondatore Mustafa Kemal, detto Ataturk, il padre dei turchi, di una nazione laica e candidata all’ingresso in Ue.
A decidere la vittoria di Erdogan è stato ancora una volta lo zoccolo duro dei suoi sostenitori nell’Anatolia profonda, islamica e tradizionalista, mentre deludente è apparso l’apporto dei nazionalisti del Mhp, a loro volta spaccati sulla scelta referendaria. Al presidente hanno voltato le spalle le grandi metropoli, dove il suo Akp governa da più di vent’anni. A Istanbul e nella capitale Ankara il no è sopra il 51%, mentre a Smirne, terza città del Paese e storica roccaforte laica, sfiora il 70%. Anche i curdi, duramente colpiti dalla repressione prima e dopo il fallito golpe della scorsa estate, si sono espressi in maggioranza contro Erdogan. Che però, ancora una volta, l’ha spuntata sulla linea del traguardo.
Alta la partecipazione al voto, come da tradizione in Turchia. L’affluenza finale è dell’84%, mentre fa il record l’affluenza all’estero, superando il 45%. Con gli emigrati, la retorica nazionalista anti-Ue ha funzionato. Il ‘sì’ all’estero sfiora il 60%, va anche oltre in Germania e Olanda.
Il popolo di Erdogan festeggia in piazza e con i suoi leader. “Questa è una nuova pagina nella storia della nostra democrazia, il risultato verrà usato per garantire la pace e la stabilità della Turchia”, ha detto ai sostenitori accalcati sotto la pioggia il premier Binali Yildirim che, salvo crisi di governo, sarà l’ultimo della storia turca, fino all’entrata in vigore del nuovo sistema presidenziale nel 2019.
“D’ora in poi, c’è una nuova Turchia”, ha esultato il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu. In tarda serata, anche un discorso di Erdogan. Di “successo molto importante” ha parlato poi il leader nazionalista Devlet Bahceli. Il referendum non lascia spazio a mezze misure, ma da stasera la Turchia appare ancora più divisa.
L’affluenza è stata molto alta: hanno votato quasi 49 milioni di persone, l’83,6% dei votanti. L’affluenza era stata record per gli emigrati, superando il 45%. In ogni caso il referendum non prevedeva quorum. Il presidente Erdogan ha votato in una scuola media di Istanbul.
E’ stata una giornata non priva di tensioni per la Turchia. A cominciare da una sparatoria, avvenuta stamani nel giardino di una scuola adibita a seggio in un villaggio curdo a 30 km da Diyarbakir. Tre le persone morte nello scontro a fuoco. Secondo Anadolu le cause sarebbero legate ad una faida familiare.
La polizia turca ha poi arrestato almeno 8 persone ricercate mentre si recavano al seggio. Si tratta di 5 sospetti ricercati per legami con il Pkk curdo e altri 3 affiliati alla presunta rete golpista di Fethullah Galen. Gli arresti sono avvenuti nelle province di Adana, Malatya e Trebisonda.