Iran 1979, quando la “rivoluzione impossibile” degli ayatollah conquistò Lotta Continua e Il Manifesto

La rivoluzione iraniana fu salutata positivamente dalla sinistra estrema italiana, che considerò l'ascesa al potere di Khomeini una forma di riappropriazione identitaria di un popolo oppresso dall'occidentalizzazione forzata dello scià Reza Pahlavi.

di Silvia Di Pasquale
Pubblicato il 26 Novembre 2022 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Iran 1979, quando la “rivoluzione impossibile” degli ayatollah conquistò Lotta Continua e Il Manifesto

Iran 1979, quando la “rivoluzione impossibile” degli ayatollah conquistò Lotta Continua e Il Manifesto

Iran: la rivoluzione impossibile ha vinto”. Questo il titolo di apertura che campeggiava sulla prima pagina del quotidiano Lotta Continua il 13 febbraio 1979. “Il popolo iraniano si è ripreso l’Iran, i signori del petrolio lo hanno perso”, proseguiva nella parte iniziale dell’articolo di fondo. In quei giorni, le gesta dell’Ayatollah Khomeini, padre della rivoluzione, ottennero il plauso di parte della sinistra estrema italiana.

Una sbandata storica che attualmente suona fuorviante, considerando che da ormai due mesi il popolo iraniano è in lotta proprio contro quel potere che parte della stampa nostrana celebrò con entusiasmo. Apice della rivolta attuale, forse punto di non ritorno, il gesto dei dimostranti di dare alle fiamme proprio la casa museo del fondatore della Repubblica Islamica.

La presa di posizione di Lotta Continua va comunque collocata all’interno di un quadro politico economico non caldo, ma bollente, che alle spalle aveva il Movimento del ’77 e un’Italia ancora ferita dal rapimento e dall’assassinio, per mano delle BR, del Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Correva l’anno 1978. “Tifare” per la rivoluzione khomeinista significava supportare una rivolta anti-sistema. Il bersaglio erano i simboli della nostra civiltà occidentale, la borghesia, le banche, le compagnie petrolifere e l’imperialismo americano.

Lotta Continua schierata a favore della rivoluzione iraniana.

“Questo popolo si sta impadronendo del tempo”, scriveva Carlo Panella, inviato in Iran per Lotta Continua. Così si esprimeva coralmente il quotidiano nel dicembre del ’78: “Per commentare una rivolta in un paese lontano e ignoto, per giunta una rivolta con caratteristiche non omogenee a quelle possibili o pensabili in Italia, Lotta Continua ha scelto ancora una volta la strada dell’adesione totale, dell’identificazione, della proiezione a distanza di caratteristiche desiderate in Patria. (…) La lotta si fonda sull’unità totale, rimette in discussione tutto il patrimonio politico degli ultimi 50 anni di lotta del Terzo Mondo, nega la necessità di doversi allineare con le borghesie nazionali, esprime cortei di donne, di operai di fabbrica di piccoli, medi, grossi commercianti, di ricchi intellettuali, di ufficiali, di soldati (…)”.

La rivoluzione iraniana su Il Manifesto.

“Un plebiscito di popolo depone lo scià” era il titolo che occupava la prima pagina del Manifesto, all’epoca diretto da Valentino Parlato. Data: 12 dicembre del 1978. L’articolo firmato da Roberto Livi parla della folla di milioni di persone che invadevano le città di Teheran, Isfahan e Qom al grido di “morte allo scià”. Il mese successivo, l’inviato a Teheran descriveva la fiumana di gente che manifestava pro Khomeini, definendola “un gigantesco spettacolo di democrazia diretta”. “Fugge lo scià, arrivano i garofani. Teheran esplode nella festa di liberazione”, il titolo di un altro suo articolo.

Il 13 febbraio del 1979, Luigi Pintor esprimeva il suo punto di vista sulle rivolte, a pochi giorni di distanza dal trionfo dei rivoluzionari. Il suo intervento offriva una narrativa piuttosto idealizzata degli eventi, che a quell’altezza temporale risultavano agli occhi di molti intellettuali come una sorta di vittoria di Davide contro Golia, impersonificato quest’ultimo dagli Stati Uniti e dai loro governi alleati, come quello di Reza Pahlavi. Pintor scriveva sul quotidiano da lui fondato:

“Si vede che, sia pure di rado, le utopie soppiantano la realtà così come noi ce la figuriamo. (…) Ma chi avrebbe scommesso su un rivolgimento così radicale? Su di una figura carismatica come l’esiliato a Parigi (Khomeini, ndr)?”. (…) Ci vorrebbe almeno la fine, anche nel nostro paese europeo di frontiera, del vezzo di considerare impossibile tutto, impensabile un profondo moto di trasformazione del sistema in cui viviamo, improponibile un ricambio delle sue classi dirigenti e persino dei suoi tantissimi governi”.

Rossana Rossanda dubbiosa sull’esito democratico della rivoluzione.

Più guardinga Rossana Rossanda, anche lei tra le fondatrici del Manifesto. Parlando della rivoluzione iraniana in una Conversazione a Radiotre, l’ex dirigente del PC si interrogava sull’esito degli scontri a Teheran per le donne: “Ogni volta che in un paese sorge una rivolta dal basso, contro l’oppressione o per un radicale mutamento – rivoluzione è appunto un rivolgimento della società e del potere attraverso grandi spostamenti di masse – le donne ci sono sempre (…)”.

“Nel caso della rivoluzione iraniana, la cui spinta è legata a una rigida religiosità, sentita come valore nazionale contro una modernizzazione borghese e brutalmente imposta, le donne non avranno vita facile: gioca contro di loro la natura fortemente conservatrice del costume islamico. Quale posto vi troveranno quei bisogni specifici di libertà che anche le donne hanno affermato contro la dittatura dello scià a rischio della vita?”, si chiedeva Rossanda. Ebbene, quarantatré anni dopo la presa del potere di Khomeini, le donne sono di nuovo in piazza. Nel ’79 come oggi. Ieri sfoggiando un hijab, oggi togliendolo come forma di dissenso.

Il contributo del Corriere della Sera.

Sebbene Lotta Continua e Il Manifesto mostrassero una sorta di entusiasmo verso l’ideale khomeinista, non furono gli unici quotidiani a seguire dettagliatamente le cronache della rivoluzione. Anche il Corriere della Sera pubblicò numerosi articoli sulla rivoluzione, soprattutto nel gennaio del 1979, quando le notizie sull’Iran apparvero in prima pagina ben 15 volte. Nel mese successivo furono 14. Il quotidiano di via Solferino ospitò anche articoli del filosofo francese Michel Foucault, che si appassionò molto alla rivoluzione degli ayatollah.

Profetico l’incipit di un articolo di Foucault intitolato “Una polveriera chiamata Iran”: “11 febbraio 1979: rivoluzione in Iran – scriveva il filosofo – Questa frase ho l’impressione di leggerla nei giornali di domani e nei futuri libri di storia”. Quei giornali oggi sono tornati a parlarne e in Medio Oriente si sta scrivendo un’altra pagina di storia contemporanea. Difficile stabilire dove vada la rivolta. Quel che è certo è che non sembra destinata a spegnersi.