Russia, la rabbia del Caucaso torna a colpire Mosca

Dmitri Medvedev e Vladimir Putin

MOSCA – “Lo Zar vincerà, ma in futuro la Russia non riuscirà a controllare questa gente fiera, crudele e indifferente alla morte”: lo scrivevano Puskin, Lermontov e Tolsoti nell’Ottocento, ricorda oggi, 25 gennaio, Franco Venturini sul Corriere della Sera.

Da allora ad oggi lo zar non c’è più, ma l’insofferenza dei popoli caucasici è rimasta. A ricordarlo al duo Dmitri Medvedev-Vladimir Putin c’ha pensato ieri, 24 gennaio, l’attentato all’aeroporto internazionale di Domodedovo, con i suoi 35 morti. E neppure un anno dopo le quaranta vittime della metropolitana moscovita, sempre ad opera di donne kamikaze caucasiche.

L’attacco di ieri al modernissimo aeroporto, il più grande della Russia, è stato anche un attacco alla “maschera di normalizzazione” sfoggiata da Putin, da sempre acerrimo nemico del separatismo caucasico.

Del resto, sottolinea Venturini, sul terreno caucasico “il successo era più di apparenza che di sostanza. La capitale cecena Grozny, rasa al suolo dalle due guerre degli anni Novanta, era stata sì ricostruita, ma appena calato il sole la sicurezza rimaneva precaria. E soprattutto non appariva credibile la soluzione politica caldeggiata dal Cremlino, con il proconsole Ramzan Kadyrov eletto presidente a suon di spintarelle armate”, cioè messo lì da Putin stesso.

Con la sistemazione del fidato Kadyrov Mosca si era forse illusa di aver placato il focolaio ceceno. Ma evidentemente si sbagliava. La mano dura del governo si fece sentire anche nei confronti degli oppositori interni, o di chi comunque aveva una voce discordante con quella ufficiale. Come nel caso della giornalista della Novaya Gazeta Anna Politkovskaya, freddata nel suo appartamento nell’ottobre del 2006.

Ma il sentimento anti-russo e indipendentista, seppur frenato in parte in Cecenia, si allargò nelle vicine Inguscezia e Daghestan, con una radicalizzazione degli estremisti islamici, appoggiati anche da elementi provenienti da Pakistan e Giordania, o più in generale da Al Qaeda.

Capeggiati dal ribelle indipendentista Doku Umarov, con i suoi attacchi quasi quotidiani alla polizia in Daghestan, e che già si è attribuito gli attacchi alla metropolitana di Mosca, gli islamisti caucasici sono tornati a ricordare a Mosca che esistono. E in un momento particolare: ad un anno dalle presidenziali in cui si capirà se Medvedev ha davvero ambizioni presidenziali o è solo messo lì da Putin.

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