Siria. Non c’è petrolio e l’Occidente non se la sente di intervenire

di Licinio Germini
Pubblicato il 21 Dicembre 2011 - 16:15 OLTRE 6 MESI FA

Ribelli siriani

BEIRUT, LIBANO – La carneficina del suo popolo scatenata dal presidente siriano Bashar Assad non si ferma e il numero degli uccisi aumenta ogni giorno che passa. Secondo quanto riferito dall’Associated Press i soldati del tiranno hanno ammazzato con cannonate e mitragliatrici oltre cento persone soltanto nella giornata di martedi, uno degli episodi più orripilanti della rivolta che dura ormai, incredibilmente, senza che nessuno faccia niente, da nove mesi.

L’ennesimo eccidio di martedi, avvenuto nella città di Kfar Owaid, nella provincia di Idlib, dimostra inequivocabilmente che il regime di Damasco è intenzionato a continuare la sua sanguinosa repressione nonostate l’accordo con la Lega Araba di por termine ai massacri. ”E’ stata una strage organizzata. Le truppe hanno circondato i dimostranti ed hanno aperto il fuoco”, ha raccontato Rami Abdul-Rahman, capo dell’osservatorio britannico per il rispetto dei diritti umani in Siria.

Con quali probabilità di successo non è difficile prevedere, ma giovedi dovrebbe arrivare a Damasco una delegazione della Lega Araba per spianare la strada ad una missione araba di osservatori col compito di verificare che Assad rispetti l’accordo. Che tipo di risultato avrà la sua missione è difficile dire perchè Assad ha cacciato dal Paese la gran parte dei giornalisti e impedisce il lavoro di quelli rimasti. Ma secondo le notizie filtrate, le truppe di Assad hanno ucciso 5 mila persone dallo scorso marzo.

Aspetto tragico della vicenda è che un intervento militare della Nato come quello che alla fine ha contribuito alla destituzione di Muammar Gheddafi ed alla sua morte è che l’Occidente, detto in parole povere, non se la sente di dichiarare guerra alla Siria di Assad. Un intervento militare della comunita’ internazionale in Siria e’ “improbabile” perche’ Damasco non e’ Tripoli, ha difese anti-aeree piu’ consistenti e “soprattutto non e’ ricca di petrolio”.  Questa è la dura realtà.

Lo stimano gli esperti di Stratfor, l’agenzia Usa di analisi strategiche. Il think-tank concede che “tra Siria e Libia ci sono alcune similitudini, Assad e’ arrivato al potere con un golpe militare come Gheddafi, entrambi sono regimi brutali”. Ma in Siria non ci sono aree “come Bengasi, dove l’opposizione ha potuto dominare e controllare il territorio”, e le “defezioni nell’esercito sono state contenute”.

Inoltre, rilevano gli americani, “non abbiamo visto gli europei spingere per un intervento come in Libia”, perche’ Damasco “non ha le risorse petrolifere libiche” e perche’ “la forza dell’esercito siriano, in particolare il sistema anti-aereo, e’ molto superiore a quella libica, e un intervento militare internazionale costerebbe molto di piu’, sia in termini di costi umani che economici”.

Allo stato attuale, concludono gli esperti, ci sono “tracce molto labili di un intervento esterno, che prenderebbe le sue prime mosse con il rifornimento di armi e il sostegno logistico ai rivoltosi”, come avvenuto a suo tempo con le operazioni di intelligence e l’invio di consulenti militari a Bengasi e sulle montagne del Jebel Nafusa, da cui i ribelli hanno lanciato l’assalto finale contro Gheddafi.
 
Nondimeno, e non si sa in base a quali considerazioni, il regime di Assad e’ ”l’equivalente di un morto vivente”, ha affermato un alto rappresentante dell’amministrazione americana nel corso di un’audizione davanti ad una commissione al Congresso, e ha accusato i paesi alleati di Damasco, come la Russia, di ”calcoli politici”.

”La nostra opinione e’ che il regime sia come un morto vivente”, ha detto Frederic Hof, coordinatore degli affari regionali per il Medio Oriente presso il Dipartimento di Stato. Alla domanda poi sui tempi che il regime potrebbe impiegare a crollare, Hof ha risposto che ”e’ difficile da prevedere, ma non vedo questo regime sopravvivere”. Hof ha quindi lanciato un appello, probabilmente inutile, a Russia, Cina e India affinche’ si uniscano agli sforzi delle Nazioni unite per proteggere la popolazione siriana.