Siria. Onu prosegue ricerche armi chimiche mentre in città assediate è fame

Fabbrica di armi chimiche in Siria
Fabbrica di armi chimiche in Siria

BEIRUT, LIBANO –  Prosegue a ritmi serrati la missione Onu per lo smantellamento dell’arsenale chimico in possesso del regime siriano, mentre quest’ultimo prosegue con armi convenzionali l’assedio militare di zone abitate da civili solidali con la rivolta e sempre più minacciati dalla morte per fame. E’ quanto emerge – secondo diverse testimonianze raccolte dal terreno – nello stesso giorno in cui si segnalano denunce di un massacro nella Siria centrale di una decina di donne, i cui corpi sono stati ritrovati carbonizzati in una fossa comune. Altrettante persone sono morte oggi a sud di Damasco, secondo quanto riferito dalla tv del regime, in un bombardamento di mortai contro Jaramana, sobborgo controllato dalle forze lealiste.

L’uccisione delle 11 donne, le cui circostanze sono ancora da chiarire, è stato invece commesso a nord-ovest di Hama, nel villaggio di Buraidj, noto per il suo sostegno alla rivolta contro il presidente Bashar al Assad. I loro corpi bruciati sono stati ritrovati dai locali poco lontano dal posto di blocco delle milizie lealiste all’ingresso del centro abitato. I media del regime non hanno finora confermato o smentito la notizia, e l’informazione non può essere però verificata in maniera indipendente anche a causa della difficoltà degli attivisti di raggiungere una zona da mesi circondata dalle truppe di Damasco e spesso isolata telefonicamente, senza acqua ed elettricità.

All’indomani dell’appello lanciato dalla Lega Araba e dall’Organizzazione della conferenza islamica per un cessate il fuoco nei giorni dell’imminente festività musulmana del Sacrificio (da martedi a gioved� prossimi), alcuni vignettisti siriani hanno ironizzato sulla richiesta internazionale, chiedendosi: “Quale cessate il fuoco? Quello chimico o quello convenzionale?”. L’attivista siriana Yara Badr, nota per le sue posizioni a favore della lotta anti-regime non violenta e moglie del giornalista Mazen Darwish da oltre un anno e mezzo scomparso nelle carceri di Assad, ha oggi denunciato la pratica del regime di “affamare il proprio popolo per ucciderlo, terrorizzarlo e costringerlo alla resa”.

In un articolo apparso su al Quds al Arabi, quotidiano palestinese edito a Londra, Badr cita gli esempi più eclatanti dell’azione letale del regime: Muaddamiya, sobborgo a sud di Damasco e teatro, tra l’altro, dell’attacco chimico del 21 agosto scorso; il campo palestinese di Yarmuk, quartiere della capitale da tempo assediato dalle truppe lealiste; il sobborgo di Hajar al Aswad, sempre a sud di Damasco. A Muaddamiya, dove dei circa 70 mila abitanti di un tempo ne rimangono poco più di 10mila, i comitati di coordinamento locali hanno denunciato nell’ultimo mese la morte di sei civili, quattro dei quali minori, per malnutrizione. Sono state diffuse via Internet le immagini dei corpi e le generalità delle vittime.

Profughi di Muaddamiya confermano che nella cittadina non arrivano più da mesi rifornimenti di farina e di altri beni di prima necessità. In un rapporto di fine settembre, l’organizzazione Save the Children affermava che oltre quattro milioni di siriani, metà dei quali bambini, non ha abbastanza da mangiare. Anche nelle zone ora in mano a mercenari qaedisti, i civili e gli attivisti denunciano crimini e razionamento di farina e di altre materie di prima necessità.

E dopo la riapertura di una strada secondaria tra Aleppo e Hama, la tv del regime ha riferito dell’arrivo nella metropoli del nord, nella parte ancora in mano ai lealisti, di camion carichi di sacchi di farina. In questi quartieri di Aleppo non si sono però finora registrati casi di malnutrizione. D’altro canto, gli assedi che il regime impone alle zone solidali con la rivolta sono definiti da Badr “una punizione che non distingue l’uomo dall’anziano, il miliziano dalla donna incinta o dal bambino”. Così facendo – prosegue l’attivista non violenta – il regime costringe i civili alla fuga, favorisce l’opera di pulizia confessionale, e si dice disposto a interrompere l’assedio per ottenere risultati militari e politici.

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