Spy story: i “Magnifici 5” di Cambridge, le talpe dell’Urss in Gran Bretagna

I “magnifici cinque” di Cambridge è una spy story degna di un romanzo di John Le Carrè, che fa capire come l’Unione Sovietica riuscì a infiltrare ad altissimi livelli le istituzioni e l’elite della Gran Bretagna, grazie a cinque rampolli della high society britannica, reclutati all’Università di Cambridge. Riviviamola nel racconto della rivista di geopolitica Lookout News: «Fin dal mattino successivo alla firma del trattato di pace di Brest-Litovsk, il 3 marzo 1918, grazie al quale la neonata Unione Sovietica usciva dal primo conflitto mondiale, il governo Lenin dovette affrontare non solo la ribellione dei generali “bianchi” ancora fedeli allo zar, ma anche il rischio di un attacco militare da parte delle potenze dell’Intesa, Gran Bretagna su tutte. Alla minaccia bellica, che divenne realtà con lo sbarco di forze armate inglesi a Murmansk, seguì una serie di complotti spionistici e tentativi di destabilizzazione ad opera soprattutto inglese, che convinse i capi bolscevichi a mettere in piedi uno spietato strumento di prevenzione e repressione con compiti di anti-sovversione, spionaggio e controspionaggio. Nacque così il “Comitato Straordinario di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio”, la Ceka, la “Spada e lo Scudo” del giovane regime comunista. Troppo lungo raccontare come Felix Dzerzhinsky, capo storico della Ceka, riuscì con il “terrore rosso” e la costruzione di un imponente apparato spionistico interno ed estero, a contribuire alla salvezza dell’Urss. Basti ricordare che i “cekisti” riuscirono ad attaccare efficacemente il nemico principale, la Gran Bretagna, con un piano d’infiltrazione a lunga scadenza nelle sue istituzioni chiave.
Spy story: i "Magnifici 5" di Cambridge, le talpe dell'Urss in Gran Bretagna
Harold “Kim” Philby, uno dei “Magnifici 5” di Cambridge: morì a Mosca e l’Urss gli dedicò questo francobollo

ROMA – I “magnifici cinque” di Cambridge è una spy story degna di un romanzo di John Le Carrè, che fa capire come l’Unione Sovietica riuscì a infiltrare ad altissimi livelli le istituzioni e l’elite della Gran Bretagna, grazie a cinque rampolli della high society britannica, reclutati all’Università di Cambridge.

Riviviamola nel racconto della rivista di geopolitica Lookout News:

«Fin dal mattino successivo alla firma del trattato di pace di Brest-Litovsk, il 3 marzo 1918, grazie al quale la neonata Unione Sovietica usciva dal primo conflitto mondiale, il governo Lenin dovette affrontare non solo la ribellione dei generali “bianchi” ancora fedeli allo zar, ma anche il rischio di un attacco militare da parte delle potenze dell’Intesa, Gran Bretagna su tutte. Alla minaccia bellica, che divenne realtà con lo sbarco di forze armate inglesi a Murmansk, seguì una serie di complotti spionistici e tentativi di destabilizzazione ad opera soprattutto inglese, che convinse i capi bolscevichi a mettere in piedi uno spietato strumento di prevenzione e repressione con compiti di anti-sovversione, spionaggio e controspionaggio.

Nacque così il “Comitato Straordinario di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio”, la Ceka, la “Spada e lo Scudo” del giovane regime comunista. Troppo lungo raccontare come Felix Dzerzhinsky, capo storico della Ceka, riuscì con il “terrore rosso” e la costruzione di un imponente apparato spionistico interno ed estero, a contribuire alla salvezza dell’Urss. Basti ricordare che i “cekisti” riuscirono ad attaccare efficacemente il nemico principale, la Gran Bretagna, con un piano d’infiltrazione a lunga scadenza nelle sue istituzioni chiave.

Grazie al genio organizzativo di Willi Münzenberg, capo dell’ufficio propaganda dell’Internazionale Comunista – il Komintern, fondato nel 1919 e il cui compito era esportare la rivoluzione bolscevica nel resto del mondo, ma che agiva come organizzazione di facciata per conto del servizio segreto sovietico – dagli anni Trenta fu avviata una campagna di reclutamento di giovani rampolli dell’establishment inglese.

Primo obiettivo: l’università di Cambridge, dove il Komintern poteva contare sull’aiuto di un professore emerito del Trinity College, l’economista marxista Maurice Dobb. Grazie alla sua opera, il NKVD (erede della Ceka) in pochi anni riuscì a reclutare quelli che ancor oggi sono noti come “i magnifici cinque”: Harold “Kim” Philby, Guy Burgess, Donald Maclean, Antony Blunt e John Cairncross.

Il reclutamento
Harold “Kim” Philby, il primo a essere reclutato, si dimostrerà il più bravo e pericoloso. Figlio di un eccentrico membro dell’upper class inglese (St. John Philby, islamista e consigliere del Re saudita), “Kim” si fece le ossa durante i disordini di Vienna del ’34-’35 e poi, sotto la copertura di corrispondente del Times in Spagna, durante la guerra civile come inviato sul fronte dei ribelli franchisti. Grazie a un’onorificenza ricevuta dalle mani del Generale Franco in persona, riuscì ad acquisire e far arrivare ai repubblicani informazioni talmente preziose da convincere il NKVD ch’egli fosse una perla rara.

Su indicazione del professor Dobb, la seconda scelta a Cambridge cadde sul giovane Guy Burgess: geniale, sregolato e aggressivamente omosessuale, passato da Eton al Trinity College, si lasciò travolgere dalla ventata di marxismo che soffiava sulle università inglesi. Il primo successo di Burgess fu l’immediato reclutamento di altri due dei “magnifici cinque”, Donald Maclean ed Anthony Blunt. Grazie a Blunt, fu reclutato anche il “quinto uomo”, John Cairncross, l’unico di estrazione proletaria approdato a Cambridge con una borsa di studio della Corona.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il supporto dei “cinque di Cambridge” all’Unione Sovietica divenne fondamentale. Philby e Burgess entrarono nel Secret Intelligence Service (MI6), Blunt fu arruolato nel controspionaggio (MI5), mentre Cairncross passò alla scuola di Bletchley Park, il segretissimo compound dove si decifravano tutte le comunicazioni in codice tedesche.

Cairncross consentì ai russi – grazie alle decrittazioni che non venivano loro ufficialmente trasmesse dagli inglesi – di vincere la battaglia di Kursk del luglio ’43, per cui riceverà una menzione segreta da parte di Stalin. Burgess, per la sua omosessualità, si fece cacciare dall’MI6 e rientrò alla BBC per poi farsi assumere anche lui dal Foreign Office, nel ’45. Philby nell’MI6 giunse fino al grado di capo della sezione sovietica del servizio inglese, mentre Blunt per tutta la guerra svolse funzione di corriere per conto dei colleghi e fornì al centro di Mosca preziose informazioni sul sistema di controspionaggio inglese.

La copertura e la Guerra Fredda
Per ragioni di copertura, tutti e cinque simularono un voltafaccia ideologico iscrivendosi alla filonazista “Allenza Anglo-Tedesca” e, sotto l’attenta supervisione dei loro controllori sovietici, iniziarono a darsi da fare per infiltrarsi nelle maglie dell’establishment inglese: a fine anni Trenta, ormai consapevoli di lavorare per i servizi segreti sovietici, Philby e Burgess divennero giornalisti, mentre Maclean e Cairncross entrarono nel Foreign Office dove, grazie alle loro indubbie doti professionali, iniziarono una luminosa carriera di funzionari dello Stato (e di spie). Blunt preferì proseguire la carriera accademica come studioso di storia dell’arte: diventerà tra i massimi esperti mondiali di Poussin e dirigerà il Courtauld Institute of Art, ricoprendo fino al ’79 la carica di sovrintendente della collezione della Corona.

Durante la Guerra Fredda, con il “cerchio dei cinque” Mosca disponeva ora in Inghilterra di un vero e proprio tesoro spionistico. Philby fece fallire tutti i tentativi di infiltrazione in Ucraina e in Albania di esuli desiderosi di combattere il comunismo. Quando nel ’45 una spia russa ad Ankara, Konstantine Volkoff, informò l’ambasciata inglese di avere informazioni su una rete di spie in Gran Bretagna, la pratica finì sul tavolo di Philby: in poche ore Volkoff e sua moglie furono drogati, rimpatriati e poi fucilati.
Inestimabile fu anche la quantità d’informazioni sui piani atomici americani fornita da Maclean, nel frattempo nominato primo segretario all’ambasciata inglese di Washington. Anche Burgess fu inviato a Washington come secondo segretario e più tardi a loro si unì Philby, nominato ufficiale del collegamento dell’MI6 con la CIA. Cairncross, intanto, era divenuto segretario del ministro degli Esteri inglese.

La fine dei “giochi”
Il flusso d’informazioni preziose si interruppe per i russi nel 1951, quando Maclean, rientrato a Londra, fu smascherato dagli americani grazie all’intercettazione di comunicazioni sovietiche decriptate. Philby, preso dal panico, spedì Burgess ad avvisarlo, mentre Blunt a Londra allertò i residenti sovietici. Fu deciso che Maclean e Burgess dovessero immediatamente fuggire a Mosca. L’MI5, allertato dagli americani, li pedinò ma ne perse le tracce alla stazione di Charing Cross il 25 maggio.

Nella notte, i due fuggirono in Francia e da lì raggiunsero Mosca. Philby, sospettato di connivenza, fu indotto alle dimissioni e riprese la carriera di giornalista. Nel 1963, convinto d’essere alla vigilia dell’arresto, fuggì a Mosca dove vivrà con amarezza per i successivi venticinque anni, prima di morire alcolizzato nel 1988. Anche Cairncross fu scoperto, ma non arrestato, perché i servizi inglesi temettero uno scandalo. Lasciò il Civil Service, si trasferì in Italia e divenne funzionario della FAO. Il suo ruolo di “quinto uomo” sarà reso pubblico solo nel 1989.

Blunt si salvò, mantenne i suoi incarichi, fu nominato baronetto e scoperto dall’MI5 solo nel 1964. Otterrà l’immunità in cambio della confessione. Perderà incarichi, cavalierato e onore pubblico solo nel 1979, quando Margaret Thatcher alla Camera dei Comuni lo screditerà di fronte a tutto il Paese. Nella drammatica conferenza stampa seguita al suo smascheramento, per giustificare il proprio operato, non trovò di meglio che citare una famosa frase di E. M. Forster: “Di fronte alla scelta tra tradire i miei amici e tradire il mio Paese, ho preferito tradire il mio Paese”».

 

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