Sudafrica, Desmond Tutu muore a 90 anni: l’arcivescovo fu uno dei simboli della riconciliazione post-apartheid

di Lorenzo Briotti
Pubblicato il 26 Dicembre 2021 - 11:49 OLTRE 6 MESI FA
desmond tutu, foto ansa

Sudafrica, Desmond Tutu (nella foto Ansa) muore a 90 anni: l’arcivescovo fu uno dei simboli della riconciliazione post-apartheid

E’ morto l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, uno dei simboli della resistenza contro l’apartheid. Tutu fu il promotore della riconciliazione dopo l’abolizione dell’apartheid.  

Tutu aveva 90 anni. Arcivescovo anglicano, vinse nel 1984 il premio Nobel per la Pace come simbolo della lotta non violenta contro il regime razzista.

Sudafrica, Desmond Tutu muore a 90 anni: fu l’uomo della riconciliazione dopo l’abolizione dell’apartheid

Dopo la fine dell’apartheid con Nelson Mandela presidente del nuovo Sudafrica, Tutu ideò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc) creata nel 1995. In un doloroso e drammatico processo di pacificazione fra le due parti della società sudafricana, la Commissione mise in luce la verità sulle atrocità commesse durante i decenni di repressione da parte dei bianchi.

Il perdono fu accordato a chi, fra i responsabili di quelle atrocità commesse, avesse pienamente confessato. Una forma di riparazione morale anche nei confronti dei familiari delle vittime. Il presidente Cyril Ramaphosa, nell’annunciare la morte di Tutu ha espresso “a nome di tutti i sudafricani, profonda tristezza per la morte, avvenuta domenica, di una figura essenziale della storia” del Paese.

Chi era Desmond Tutu

Eroe nonviolento della lotta contro il regime segregazionista, Desmond Tutu è stato definito la “bussola morale” del Sudafrica. Con Mandela Tutu operò in una sorta di ideale tandem nel forgiare la nuova nazione “arcobaleno” (il termine fu ideato proprio da lui), uscita dalle ceneri di un secolo di regime della minoranza bianca.

Lungi dall’accontentarsi del nuovo status quo, Desmond Tutu non ha mancato di fustigare lo stesso partito maggioritario dell’Africa multietnica, l’African National Congress (Anc), denunciandone la deriva nepotistica e la corruzione sotto il presidente Jacob Zuma. Non ha risparmiato neanche Mandela.  L’ex leader anti-apartheid venne infatti bacchettato per le paghe eccessivamente generose di alcuni ministri e collaboratori. Ha criticato inoltre duramente l’omofobia presente nella società, nel potere come anche nella Chiesa anglicana.

Nato nel 1931 a Klerksdorp, nell’allora provincia del Transvaal, di etnia Tswana, Tutu fu ordinato sacerdote nel 1960. Nel 1975 divenne vescovo del Lesotho. Dal 1978 fu segretario generale del Consiglio delle chiese del Sudafrica. In questi anni si distinse per le prediche, gli insegnamenti e le azioni nonviolente contro l’apartheid.

Pur dichiarando di “comprendere le ragioni” per cui giovani neri potessero compiere azioni violente, condannò la violenza da entrambe le parti. Tutu sosteneva che la lotta armata avesse poche possibilità di vincere. Denunciò inoltre la connivenza di diverse nazioni Occidentali nei confronti del Sudafrica razzista. Promosse anche una petizione per la liberazione di Mandela.

Dopo il Nobel per la Pace divenne arcivescovo di Città del Capo

Dopo il Nobel per la Pace del 1994 fu eletto prima vescovo di Johannesburg. Nel 1986 divenne arcivescovo di Città del Capo. Nel 1995, con Mandela presidente, per 30 mesi guidò la dolorosa fase che ha forgiato lo spirito di pacificazione

Tra le azioni decise ci fu l’inizio del processo per la Verità e la Riconciliazione che permise di esporre finalmente al mondo le atrocità confessate dai protagonisti della repressione operata dai bianchi. Il processo per la Verità permise di accordare il perdono giuridico e morale consentendo ai carnefici di liberarsi le coscienze e alle vittime di elaborare il lutto.

Ritiratosi da ogni carica attiva nel 1996, dal 1997 Tutu ha dovuto fare i conti a più riprese con il cancro. Di recente ha anche preso posizione a favore della “morte compassionevole”: “Ho preparato la mia morte e voglio che sia chiaro che non voglio essere tenuto in vita a tutti i costi”, ha scritto in un editoriale del 2016 sul Washington Post. “Spero di essere trattato con compassione e che mi sia consentito di passare alla prossima fase del viaggio della vita nel modo che sceglierò”.