Teheran, un sabato di guerriglia/ Si parla di decine di morti, centinaia di feriti. La repressione è violenta quanto la sfida al potere religioso

La notte è scesa su Teheran e ancora si continua a sparare, ancora i giovani rivoltosi spaccano i sassi per poterli tirare meglio, ancora nelle strade le auto prendono fuoco. Nell’aria un’invocazione: “Allah-u-Akbar”, “Dio è grande”. È l’invocazione che Roger Cohen, uno dei più bravi giornalisti del New York Times, uno degli anziani, dice nel suo reportage per il giornale di domani di sentire ogni notte dal giorno delle elezioni farsa che hanno portato ai disordini di sabato.

Ormai, se in Iran non siamo vicini alla guerra civile, la situazione è comunque grave come non lo è mai stata per trent’anni.

Teheran è in fiamme, la gente nelle strade tracima rabbia, mentre si parla di decine di morti: da un minimo di 19 secondo la Cnn, ai 40 stimati dai blogger, a un numero complessivo di 150 che la stessa Cnn attribuisce a “informazioni non confermate”. Centinaia (almeno 200) sarebbero i feriti, bilancio di un sabato di sommossa in cui la borghesia iraniana ha sfidato il divieto del papa iraniano, l’ayatollah Khamenei che aveva invitato tutti a stare a casa e evitare la piazza e le manifestazioni.

Sabato è un giorno normale nella metà del mondo che applica il calendario islamico, equivale al lunedì nel mondo cristiano. Un giorno lavorativo, di intenso traffico, che ha aggravato il caos delle dimostrazioni, al punto che un povero automobilista, esasperatio dalla eccessiva attesa in un ingorgo, ha suonato il clacson in un modo che ha infastidito un poliziotto e ha subito la punizione:è stato trascinato fuori dalla macchina, riempito di botte sull’asfalto e portato via.

Nel black out dell’informazione che non sia quella controllata dallo stato, internet, blog e telefonini forniscono un quadro frammentario ma non per questo meno impressionante.

La notizia del totale dei morti e dei feriti è ad esempio  riferita dai blogger iraniani, che poi sono intercettati e tradotti in Europa e in America da connazionali.

Morti e feriti si trovano all’ospedale Fatemiyeh di Teheran, dove la polizia sta registrando i nomi di quanti si fanno curare. Tra le forze di polizia c’è un tentativo di distinguo. La polizia regolare, quelli che da noi sarebbero i vigili urbani e i semplici poliziotti, tendeva a essere amichevole con la gente.

Forse qualche fessura si sta aprendo tra le forze dell’ordine.  Cohen riferisce di un ufficiale di polizia, imperterrito sotto i sassi lanciatigli dalla gente, nella sua uniforme verde camminare verso i dimostranti, con il suo piccolo reparto al suo fianco, e dire: “Giuro su Dio, ho figli, ho una moglie, non voglio picchiare la gente, vi prego andate a casa”. “Vieni con noi! Vieni con noi!” csntavano in risposta i dimostranti.

Gli atti di violenza sono venuti dalla polizia anti sommossa (la nostra celere) e dai basji, un corpo speciale alle dipendenze dei preti iraniani e parrticolarmente versato nella violenza, motivata con l’estremismo religioso e anche un po’ di odio di classe: proletari i poliziotti, borghesi e benestanti in generale i dimostranti. E i colpi di randello e di pistola i basij non li hanno risparmiati a nessuno che gli capitasse a tiro.

Erano presi di mira con particolare ferocia tutti quelli che apparissero in possesso di telefoni portatili, peggio ancora macchine fotografiche.

Il sito americano Huffingtonpost.com dà la possibilità di vedere una bella e giovane donna a terra dopo che un proiettile l’ha abbattuta. La scena è proprio brutta, lei con gli occhi sbarrati, ormai morta, e il sangue che esce dal naso e dalla bocca e le deturpa il bellissimo viso: passava da lì, si era fernata a vedere quel che succedeva, l’hanno centrata.

Testimoni hanno riferito che oltre dieci elicotteri sono atterrati nei pressi dell’universita Sanati Sharif di Teheran, nei pressi della via Azadi. Gli stessi elicotteri volavano sopra la testa della folla, mentre da terra le speciali forze antisommossa degli ayatollah sparavano sulla gente. Davanti all’università sono stati anche visto studenti ammanettati dalla polizia ai cancelli.

Gli unici morti dei quali non vi è certezza sono quelli al presunto attentato a mausoleo di Khomeini, il padre della rivoluzione islamica iraniana. Sarebbero due, in un primo tempo si diceva uno: il kamikaze che avrebbe fatto esplodere una bomba e un ìo che si trovava lì per caso; incerto anche il numero dei feriti, chi dice due, chi dice otto.

Molti giornalisti occidentali che filtrano le notizie d’agenzia e da blog provenienti da Teheran sembrano scettici: l’attentato è stato compiuto in un luogo che è dalla parte opposta della città rispetto ai disordini, dove nessuno si è potuto recare per controllare. Chi ha visto le immagini dei danni, mostrate dalla tv iraniana, parla di una finestra rotta. Il sospetto è che l’attentato sia solo un’invenzione della polizia, per dare conferma ai timori espressi nel suo discorso del venerdì da Khamenei che aveva previsto atti terroristici se i seguaci del candidato deluso Mousavi avessero insistito nelle programmate manifestazioni. L’attentato servirebbe anche egregiamente come pretesto per una forte ondata di repressione nei giorni a venire.

Le notizie, per quanto frammentarie e confuse, danno però un quadro preciso e coerente della situazione. Non ci sono solo giovani e studenti a tirare sassi e sfidare i proiettili, ma gente normale. C’è chi ha visto una donna dall’aspetto di ottantenne tirare sassi e incitare lla rivolta. Molte erano le donne in prima fila, che rimproveravano gli uomini quando li vedevano non abbastanza combattivi.

 

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