Trump: se se ne va che danno fa? Clima surriscaldato, temperature XXI sec. fuori controllo Trump: se se ne va che danno fa? Clima surriscaldato, temperature XXI sec. fuori controllo

Trump: se se ne va che danno fa? Clima surriscaldato, temperature XXI sec. fuori controllo

Trump: se se ne va che danno fa? Clima surriscaldato, temperature XXI sec. fuori controllo
Trump: se se ne va che danno fa? Clima surriscaldato, temperature XXI sec. fuori controllo

ROMA – Trump: se se ne va che danno fa? Clima surriscaldato, temperature XXI sec. fuori controllo. Il presidente del paese più industrializzato del globo, della prima potenza economica mondiale sta facendo trattenere il respiro a tutto il pianeta: Trump ha annunciato che entro pochi giorni dirà se gli Usa saranno della partita per contenere il riscaldamento globale, l’effetto serra, le emissioni di gas nocivi, se gli Usa sottoscriveranno l’accordo di Parigi del 2015 sul clima. Si è concesso qualche giorno per pensare e infine sciogliere la riserva, ma tutte le antenne sintonizzate sulla sua controversa amministrazione invitano a non farsi illusioni perché Trump avrebbe già deciso: per lui l’accordo sui cambiamenti climatici è carta straccia, si sfilerà senza troppi scrupoli ambientali, rispetterà le promesse elettorali quando diceva che “global warming is bullshit…”. Cosa succede allora se Trump se ne va? Quale l’impatto sul clima?

Innalzamento delle temperature sotto il 2%? Illusorio. A dicembre del 2015 oltre 190 Paesi hanno raggiunto, dopo lunghissimi negoziati durati più di dieci anni un accordo sul clima,  alla ventunesima Conferenza delle parti di Parigi, la Cop21. Base portante di tutto l’accordo è l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, con l’impegno a limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi. Considerando che nel XX secolo la temperatura è salita di tre quarti di grado e considerando la forte inerzia del processo, rischiamo che nel XXI secolo l’innalzamento delle temperature si misuri in gradi piuttosto che in frazioni di grado: a quel punto il pianeta sarebbe una palla torrida irriconoscibile.

Molti climatologi ritengono che questo sia già troppo perché il pianeta lo possa sopportare, ma per le ragioni dette sopra non sarebbe realistico proporsi obiettivi più ambiziosi. Anche i 2°C comunque sono problematici: bisognerebbe azzerare le emissioni di gas a effetto serra nel 2050. Ma i gas serra sono emessi dalla combustione di benzina, carbone e metano; è dura farne a meno. (Luigi Grassia, La Stampa)

Senza l’apporto degli Usa l’obiettivo diventa a questo punto illusorio. Irrealistico: l’Europa per profonda convinzione potrebbe andare avanti lo stesso (così come l’industria Usa che ha virato verso l’innovazione e la tecnologia green, senza l’avallo del presidente ma attraverso un impegno scritto sulla sabbia), le altre nazioni troverebbero scoraggiante perdere competitività proprio mentre sono in pieno sviluppo industriale. La Cina invece punta allo stesso tempo su due scommesse all’apparenza inconciliabili: essere locomotiva dell’economia mondiale e fattore di traino fondamentale per la decarbonizzazione.

Gli altri punti principali: raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il prima possibile per iniziare con riduzioni continue fino a trovare un equilibrio tra emissioni e tagli per la seconda metà del secolo; tutti i Paesi hanno comunicato gli impegni a livello nazionale, dovendo prevedere revisioni migliorative a cadenze regolari (ogni cinque anni); i fondi destinati ai Paesi più esposti e vulnerabili ai cambiamenti climatici e che sono, in un certo senso, incapaci di adeguarsi.

Il nodo risorse: 100 mld di dollari. C’è poi la parte dedicata alle risorse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo: l’obiettivo della road-map è creare un fondo da 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2020, con l’impegno ad aumentare di volta in volta i fondi per l’adattamento e la cooperazione internazionale. Inoltre, c’è il tema della trasparenza e flessibilità per fare in modo che ognuno possa contribuire in base alle proprie capacità. L’accordo di Parigi è stato firmato il 22 aprile 2016, in occasione della Giornata mondiale della Terra, alle Nazioni Unite a New York da 175 Paesi. Le regole per la sua entrata in vigore (avvenuta il 4 novembre 2016) prevedevano che venisse ratificato da almeno 55 Paesi che rappresentassero almeno il 55% delle emissioni di gas serra. L’Italia lo ha ratificato il 27 ottobre 2016.

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