Trump e l’occhio strizzato ai suprematisti bianchi, il rischio di far saltare il tavolo della democrazia e il tentativo, fallito, di far apparire il suo avversario un candidato ‘moscio’.
Non solo suprematisti, l’analisi del primo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden preoccupa molti repubblicani e spinge – stando ai sondaggi – consensi verso il candidato democratico.
Della volgarità, del punto più basso toccato dall’invidiata e ammirata democrazia americana nel primo incontro-scontro tra i due candidati alla presidenza a stelle e strisce si è detto.
Ma per quanto paragonata a una rissa da bar, dall’incontro Trump-Biden sono emersi dei contenuti e su questi si è cominciato a ragionare.
Il primo punto chiaro, chiarissimo tanto quanto inquietante, è l’occhiolino fatto dal presidente americano ai gruppi di suprematisti bianchi. “Stay back, stand by”. State indietro e state pronti, questo il messaggio rivolto da Trump ai ‘Proud boys’, i ragazzi orgogliosi del colore della loro pelle e armati sino ai denti.
State indietro perché, tra le righe, ci penso io a questi che continuano a sostenere che siamo tutti uguali. Ma state pronti perché non si sa mai.
Un messaggio, quasi un’indicazione ad una milizia da tenere buona, ma per ora, e milizia che – pubblicamente – ha risposto: “Siamo pronti”.
“Il richiamo della foresta per i razzisti”, il commento di Biden.
Quel Biden che Trump voleva demolire a colpi di insulti e sopraffazione puntando sulla poca verve del candidato democratico. O almeno su quella che Trump credeva essere poca.
E invece Biden, ‘sleepybiden’ come lo ha soprannominato il presidente, si è rivelato molto più combattivo di quanto non si credesse.
Trump ha fatto la figura del cafone e ora, anche tra i repubblicani, la strategia basata sull’aggressività del loro candidato non a tutti sembra ancora la migliore.
All’interno del GOP però la preoccupazione più grande è un’altra, e riguarda la democrazia.
L’attuale inquilino della Casa Bianca si è infatti ancora una volta, a precisa domanda, rifiutato di promettere che riconoscerà il risultato delle urne garantendo una corretta transizione.
Anzi ha fatto di più: è tornato a ribadire che per lui il voto postale è una truffa.
Non perché ci siano evidenze di brogli o anche solo di malfunzionamenti del sistema, ma solo perché non gli piace e probabilmente sarebbe a lui contrario.
In un Paese dove il voto postale ha un peso e una consuetudine di anni e dove è tutt’altro che marginale.
Cosa farà dopo il 3 novembre Trump e cosa succederà dopo quella data? Rifiuterà di riconoscere la sconfitta – se sconfitta sarà – e chiamerà in piazza i suoi sostenitori, compresi i notoriamente pacifici e democratici Proud Boys?
Il primo dibattito tra i due sfidanti fa temere a molti, analisti e politici, cittadini e semplici spettatori che la risposta alle due domande potrebbe essere “sì”.