Tunisia, un rimpasto infelice che non basta a fermare i disordini

Pubblicato il 19 Gennaio 2011 - 13:22 OLTRE 6 MESI FA

Tutto sembra ormai durare meno di 24 ore, in Tunisia. Come per la fuga dell’ex presidente Ben Ali, subito dopo il suo ultimo discorso alla nazione in cui prometteva ciò che non le aveva mai dato, o per l’interim della presidenza del premier Mohammed Gannouchi, o per la ”temporanea” assenza del dittatore.

Così è stato anche oggi per il nuovo governo di unità nazionale presieduto dallo stesso Ghannouchi, annunciato il 17 gennaio e sul quale già il giorno dopo hanno pesato le dimissioni dei tre esponenti del sindacato e il mancato giuramento di un quarto ministro. E anche in questo caso il movimento di piazza sembra aver scavalcato le soluzioni politiche su cui comincia ad aleggiare la presenza di leader integralisti islamici.

Ieri, 18 gennaio, ad essere schiaffeggiati dalla propria base sono stati i vertici del più grande sindacato tunisino, quell’Ugtt che ha giocato un importante ruolo nella destituzione di Ben Ali. Sotto la pressione delle manifestazioni anche dei propri iscritti svoltesi a Tunisi e in tutto il Paese, la direzione nazionale dell’Ugtt ha deciso di non riconoscere un governo di cui fanno parte otto ministri del vecchio partito di governo e ha fatto appello ai suoi tre rappresentanti a ”ritirarsi”.

Una scelta che per tutta la giornata sembra avesse tentato anche indipendenti ed esponenti dell’opposizione della squadra di Ghannouchi, ma sulla quale si è trovato alla fine un altro temporaneo compromesso. Tutti i ministri hanno giurato, tranne quattro: appunto i tre espressi dall’Ugtt – Houssine Dimassi, Abdeljlil Be’doui e il sottosegretario Anouar Ben Gueddour – e il titolare della Salute, Mustapha Ben Jaafar, del Forum democratico.

Ma sull’irrevocabilità di questa scelta le versioni sono contrastanti: secondo il Pdp, il partito di opposizione di Nejib Chebb che non lascia il suo dicastero, si tratta di una scelta ancora condizionata alle trattative in corso con il premier, e il dubbio sarà sciolto domani.

Ma secondo il dirigente dell’Ugtt Monsof Ezzahid, quelle dei tre rappresentanti sindacali sono ”dimissioni vere’‘, cui potrebbero aggiungersene altre. Un altro che si dava per dimesso, insieme a Taieb Baccouch, (ex leader Ugtt e presidente dell’Istituto del mondo arabo per i diritti umani), era Ahmed Ibrahim degli ex comunisti dell’Ettajdid. Il movimento ha precisato che non è uscito dal governo, ma ”se le sue rivendicazioni non saranno soddisfatte rapidamente, rivedrà la sua posizione”.

Insomma, i giochi sono ancora aperti per almeno alcuni neo-ministri stretti tra le pressioni della piazza e la preoccupazione di garantire al più presto un percorso democratico per la transizione. Intanto però il premier più di un segnale lo ha dato, ai ministri ancora incerti ma soprattutto al movimento di piazza: le sue dimissioni dal partito di Ben Ali, l’Rcd, dello stesso premier Ghannouchi e del presidente ad interim Foued Mebazaa.

Dimissioni che ”concretizzano una decisione di separazione tra gli organi dello Stato e i partiti”, si spiega, ma che si aggiunge alla cacciata dallo stesso Rcd di Ben Ali e di sei suoi collaboratori, coinvolti ”nei drammatici eventi che hanno scosso il paese”. Fra questi Abdallah Kallel, ex ministro dell’interno accusato di torture da varie ong.

Ma il premier ha anche parlato di Rached Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda, al bando all’inizio degli anni ’90 da Ben Ali, che rientrerà da Parigi in Tunisia, ha detto, solo dopo una legge di amnistia che annulli la sua condanna all’ergastolo. Una precisazione che suona come uno stop al leader islamista, che nei giorni scorsi si era detto pronto a tornare per partecipare al gioco democratico, ed il cui partito ha oggi annunciato di voler chiedere la propria legalizzazione, accusando nel contempo il nuovo esecutivo di essere un governo di ”esclusione” nazionale, dato che lascerebbe fuori alcuni ”pilastri della resistenza”.

Tra i manifestanti del 18 gennaio a Tunisi vi sarebbe stato anche un leader integralista islamico, secondo l’Afp, e alcuni rivendicavano una rappresentanza per tutti, e dunque anche per gli integralisti, nel nuovo governo. Ma non vi è alcun pericolo, ha detto il leader dei comunisti del Potc Hamma Hammani, ”’di una deriva islamica” per questo movimento. Intanto però un altro leader dell’opposizione è già tornato: il leader dell’opposizione laica Moncef Marzouk.

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