Turchia, il tribunale nega l’uso della lingua curda nel processo ai presunti ribelli indipendentisti a processo

Un tribunale di Diyarbakir, nella Turchia sud-orientale, dove il 18 ottobre si è aperto l’atteso processo a 151 esponenti curdi accusati di legami con i ribelli, ha respinto oggi, 19 ottobre, la richiesta di molti degli imputati di potersi difendere in lingua curda.

Agli accusati viene contestato di avere legami e dare sostegno logistico e finanziario all’Unione delle associazioni del Kurdistan (Kck), a sua volta accusata di terrorismo e di complicità con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), movimento di lotta armata che da 26 anni si batte per la creazione di uno stato curdo indipendente sul territorio turco.

”La richiesta di potersi difendere in lingua curda è stata respinta all’unanimità dai giudici in quanto gli imputati hanno parlato in turco nelle fasi di investigazione e di interrogatorio”, ha dichiarato il presidente della corte Menderes Yilmaz, secondo il quale ”l’uso dei traduttori non farebbe altro che allungare la durata del processo”.

Per accorciare i tempi, il 18 ottobre era stato deciso di soprassedere anche alla lettura del capo d’imputazione che consta di circa 7.500 pagine. In molti considerano questo processo una sorta di banco di prova per i militanti curdi soprattutto alla luce di una recente iniziativa avviata dal governo di Ankara nel tentativo di risolvere la cosiddetta ”questione curda”, appunto la sanguinosa lotta armata lanciata dal Pkk nel 1984 e che sino ad oggi ha fatto oltre 40.000 morti.

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