Usa, elezioni. Per i democratici non è stata una catastrofe, ma c’è mancato poco

di Licinio Germini
Pubblicato il 3 Novembre 2010 - 11:53 OLTRE 6 MESI FA

John Boehner, prossimo presidente repubblicano della Camera

Non è stata una catastrofe come alcuni si aspettavano o temevano, ma c’e’ mancato poco.

Dopo la riconquista repubblicana della Camera dei Deputati ed una tagliente falciata di democratici al senato – dove questi però sono riusciti a mantenere una esigua maggioranza – gli uomini politici di Washington devono chiedersi se hanno fatto cose che proprio non andavano bene.

Questa elezione midterm ha tra l’altro dimostrato che quando i parlamentari alzano la mano per prestare giuramento devono tenere presente che il loro potere potrebbe avere vita breve. Si potrebbe parlare di cambiamento epocale.

Lo ha fatto capire a chiare lettere John Boehner, che dovrebbe diventare il prossimo presidente repubblicano della Camera, quando nel suo discorso di vincitore ha detto: ”Cominciamo subito a dire che questi non sono tempi per festeggiare – ha affermato – ma tempi per rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare’. Altro stile rispetto all’Italia, dove si parla di mandare a casa, di persecuzioni, di rifiuto totale e assoluto di dialogo con l’altra parte.

Il ”posto fisso” al Congresso non è più garantito. Nel 2006, entrambe le camere del congresso passarono da un partito all’alro. Nel 2008 i democratici di Barack Obama slogiarono con virulenza – ma come sono lontani quei tempi – i repubblicani di George Bush dalla Casa Bianca. Ed ora la vittoria del Grand Old Party (GOP) alle midterm.

Cambiamenti così repentini della scena politica americana, specialmente alla Camera, sono relativamente nuovi in tempi moderni. Ci sono voluti 40 anni di controllo democratico della Camera prima che gli elettori nel 1994 l’assegnassero ai repubblicani di Newt Gingrich.

Solo dodici anni dopo, i democratici si ripresero la maggioranza. Ed ora, a soli 4 anni di distanza, sono tornati i repubblicani. Ma costoro sanno che, proprio come i democratici, non godono di profonda stima da parte dell’elettorato.

Come ha detto il senatore eletto della Florida Marco Rubio, uno dei favoriti del movimento conservatore Tea Party, il risultato di questa elezione non è un abbraccio ai repubblicani, ma solo la concessione di una seconda opportunità”.

Quale che sia il risultato definitivo della consultazione, questo tsunami repubblicano imporrà notevolti svolte e nuove difficoltà ad Obama – con un governo diviso tutto diventa più arduo – già traballante per via di una popolarità che dalle vette del trionfo elettorale del 2008 si è di molto ridimensionata.

I primi due anni del presidente sono stati caratterizzati da eclatanti successi legislativi, inclusi il varo dello stimolo economico e il salvataggio dell’industria dell’auto che a giudizio di molti economisti – ma non tutti – ha risparmiato all’America dolori ancor più grandi, oltrechè la riforma sanitaria che però agli americani piace poco.

I risultati di queste elezioni dicono che il motore principale dell’umore elettorale è stato lo scontento per lo stato dell’economia. Oltre sei elettori su dieci affermano che il principale problema del Paese è, appunto, l’economia, e un numero tre volte maggiore crede che stia pegiorando anzichè migliorando, con una disoccupazone del 9,6 per cento che secondo le stime degli analisti impiegherà 18 anni per tornare ai valori tradizionali del 5-6 per cento.

L’umore dell’elettorato, e questo spiega la caduta della Camera in mano repubblicana, non era benevolo neanche nei confronti del Congresso, e sei americani su dieci ritengono che il Paese stia andando nella direzione sbagliata.

Ci sono anche segni concreti che il tentativo di Obama di ricreare la coalizione che l’ha portato alla Casa Bianca si stia sfarinando. Meno della metà di tutti i votanti approvano il comportamento di Obama come capo dell’esecutivo.

Nonostante l’indiscutibile vittoria, anche per quanto riguarda i governatori statali, martedi non è stata una giornata perfetta per i repubblicani. Sono stati battuti in svariati stati dove speravano di vincere, incluse le gare senatoriali in Delaware e Connecticut, causa l’azione dei Tea Party che hanno fatto fuori repubblicani dell’establishment uscenti per sostituirli con i loro candidati.

Come era stato preventivato prima che si aprissero le urne, queste midterm sono state un referendum su Obama e il programma politico democratico, e il referendum l’hanno vinto i repubblicani. Un sondagio della National Election Pool, formato da network televisivi e dall’Associated Press ha accertato che una larga magioranza dell’elettorato pensa che il Paese stia viaggiando fuori dei binari.

Nove elettori su dieci, una percentuale schiacciante, sono preoccupati per lo stato comatoso dell’economia, e 4 su dieci dicono che negli ultimi due anni la loro situazione economica è peggiorata.

La maggior parte degli elettori ritengono che le politiche di Obama alla lunga faranno più male che bene al Paese, ed una rilevante fetta di votanti appogia i Tea Parties, che volevano fare piazza pulita di deputati e senatori, democratici e repubblicani, dell’establishment, che secondo loro non meritano il loro mandato.

In parte ci sono riusciti. Il movimento, populista, conservatore e libertario, non ha una leadership ma vive solo per agregazione volontaria dei suoi membri. Con la loro politica delle ”facce nuove” i Tea Party hanno ottenuto il favore dell’elettorato.

I sondaggi hanno accertato che questa volta gli elettori erano più insoddisfatti del Congresso di quanto non fossero nel 2006, quando i democratici riconquistarono la maggioranza. Indagini  preliminari indicano inoltre che l’elettorato si è mostrato molto più conservatore di quattro anni fa, il che ha favorito la cavalcata dei repubblicani da un capo all’altro del Paese.