NEW YORK – Per sconfiggere i jihadisti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante, il famigerato Isis, è necessario affrontarli anche in Siria. E di fatto, collaborare, in una certa misura, con Bashar al Assad. Nessuno lo dice così apertamente negli Stati Uniti, ma dopo le prime ammissioni in questo senso del Pentagono è la Casa Bianca, attraverso Ben Rhodes, il vice consigliere per la sicurezza nazionale ad affrontare il tema.
Rhodes, rispondendo ad una domanda su un eventuale attacco contro i jihadisti in Siria, non ha escluso nulla, affermando che “valuteremo cosa sia necessario nel lungo termine per assicurarci di proteggere gli americani”. Lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante è “un cancro che va estirpato”, aveva detto nei giorni scorsi il presidente Usa Barack Obama, ma specie dopo la barbarica decapitazione di James Foley, negli Usa sono aumentate le critiche alla sua strategia, che con limitati raid in Iraq appariva mirare solo al ‘contenimento’.
E’ ovvio che collaborare con Assad è una prospettiva improponibile, così come quella di inviare forze americane nel mattatoio siriano, dove secondo quanto ha reso noto l’Onu, dall’inizio della guerra civile tre anni e mezzo fa sono state uccise almeno 191 mila persone. Ma l’Isis va “ben oltre ogni altro gruppo terroristico visto finora” e rappresenta “una minaccia a lungo termine”, ha affermato il segretario alla difesa Chuck Hagel, aggiungendo che “tutte le opzioni” sono sul tavolo per affrontarlo. Si tratta di una organizzazione che “può essere contenuta, ma non all’infinito”, ha affermato a sua volta il capo di stato maggiore interforze, il generale Martin Dempsey.
“Senza affrontarne il ramo in Siria può essere sconfitta? la risposta è no”, ha quindi aggiunto secco Dempsey, che a suo tempo si era mostrato alquanto cauto nei confronti della prospettiva dei raid aerei Usa contro il regime di Assad accusato di aver usato armi chimiche contro il suo stesso popolo. L’Isis, ha detto, deve essere affrontato “da entrambe le parti di quella che ormai è la frontiera inesistente” tra Iraq e Siria.
E anche oltremanica sembra esserci un orientamento in tal senso, anche a costo di dover ‘dialogare’ con Assad, che certo sarebbe ben felice di guadagnarsi le stellette di ‘combattente della lotta al terrorismo globale’. Tra gli altri, ne ha parlato in maniera esplicita l’ex capo di stato maggiore dell’esercito britannico Lord Dannatt, secondo il quale “se si deciderà per raid aerei sulla Siria, bisognerà avere l’approvazione di Assad”.
E in tal senso ha citato il vecchio adagio secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Sostanzialmente, si tratta di valutare le priorità. Anche l’ex ministro degli Esteri Malcolm Rifkind affermato che gli Usa i suoi alleati devono essere pronti a lavorare con Assad se vogliono sconfiggere l’Isis. Si tratta di un gruppo che “deve essere eliminato e non dovremmo essere schizzinosi sul come lo facciamo”. ha affermato.
Parole che hanno infine indotto il governo di Londra a precisare che non esiste alcuna possibilità di “lavorare con Assad”, perché, come ha detto il ministro degli esteri Philip Hammond, non sarebbe “pratico, sensato o utile”. Anche l’amministrazione Usa respinge con forza ogni ipotesi di una qualsiasi forma di ‘sinergia’ con Assad. “Sono fortemente in disaccordo con l’idea che siamo sulla stessa pagina”, ha detto la portavoce del Dipartimento di Stato Marie Harf, secondo la quale “l’Isis e’ ciò che é proprio perché il regime siriano ha gli consentito di svilupparsi”.
Salvo poi concedere che alcuni “obiettivi” potrebbero essere comuni. E pressioni sembrano arrivare anche dall’Onu, con l’Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, che ha denunciato come “la paralisi internazionale” abbia incoraggiato gli “assassini, i torturatori e i devastatori in Siria”. Nelle ultime settimane, il regime di Damasco ha frattanto intensificato a sua volta gli attacchi contro i miliziani dell’ Isis, con decine di Raid nel Nord-Est del Paese, ‘cuore’ dello Stati islamico. Ma secondo quanto affermano analisti siriani sul posto, con l’eccezione della zona di Aleppo, dove l’avanzata dei jihadisti favorisce invece i ripetuti tentativi del regime di sconfiggere gruppi armati anti-Assad proprio nella strategica metropoli del Nord.
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