Zucconi: “Il mio 11 settembre, cavallo stanco di un’America sconfitta”

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 9 Settembre 2011 - 15:59| Aggiornato il 10 Settembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Cos’è successo poi?
«Che le finanziarie, le società che fanno di mestiere la speculazione – e non è mica una colpa: è il loro mestiere – si sono buttate a capofitto nelle opportunità che si presentarono, senza avere nessun impedimento, laccio o lacciuolo, dall’amministrazione Bush dopo che già Clinton aveva sciolto le briglie. Così sono esplosi i mutui subprime, i derivati, gli hedge fund senza controlli. La casa per tutti, il sogno americano. La gente veniva inseguita per strada dalle offerte di prestiti. Io venivo inseguito da gente che mi diceva: “Perché non compra una casa più grande? Perché non prende un altro debito? Come mai la sua carta di credito ha un limite di spesa di soli 5.000 dollari? Lo alzi a 20.000…spenda!”.
Scelte che misero in crisi la finanza pubblica. Un numero: quando Bush arrivò alla Casa Bianca gli Usa avevano un rapporto deficit/Pil in attivo del 2%. Ora sono in rosso dell’8-9%. Si è creata nell’era Bush un’immensa bolla dettata dal “fate soldi coi soldi, indebitatevi, comprate casa e così fate vedere a quei pezzi di merda che l’America risponde diventando ancora più ricca”. In effetti è avvenuto: i prezzi dell’immobiliare a Manhattan, che tutti immaginavano sarebbero crollati, sono schizzati al cielo dopo la metà degli anni Zero. Perché era facilissimo avere soldi.
Questo ha creato tutte le premesse per i crac del 2007, del 2008, da cui l’America non si è più ripresa. E occorreranno anni e anni perché si riprenda, indipendentemente da Obama. Questo è stato un effetto diretto dell’11 settembre 2001. Ci si è illusi di fare una guerra con la carta di credito finanziata dai cinesi e il conto è arrivato».

Perché l’America non è riuscita a trovare gli anticorpi per venirne fuori?
«Perché questa è la prima guerra della storia americana, e forse l’unica della storia del mondo, ma non mi voglio allargare troppo, in cui non sono state aumentate le tasse per pagarla. Storicamente guerra significa aumento delle tasse, sacrificio con il borsellino, insieme con il sangue. Questa invece è stata pagata a credito, facendo delle cambiali. È uno degli effetti nefasti dell’11 settembre. Perché se sul piano militare certamente Al Qaeda non ha vinto né pensava di poter vincere, sul piano dell’economia e del ruolo nel mondo l’America non si è più ripresa».

Quindi gli Usa sono come un pugile suonato che celebra il pugno che l’ha messo ko?
«Domenica ho preso una camera nel grattacielo più alto che sta attorno a Ground Zero, perché voglio guardare dall’alto: dal basso non si vede e non si capisce nulla. Ma mi chiedo: tutte queste celebrazioni, i monumenti, la fontana, la Freedom Tower che sarà finita nel 2013, sono fatte per che cosa? Questa è una guerra che non è finita. Se c’è un attacco terroristico da un’altra parte cosa facciamo, un altro monumento? Un’altra celebrazione? Di solito i monumenti si fanno quando il libro è chiuso: abbiamo perso, abbiamo vinto. Vietnam, Corea, guerra civile, quello che è: si fa un monumento ai caduti. Ma quando è tutto finito. È anche un’operazione pericolosa quella di fare un monumento a un evento che ancora sta avvenendo. Perché ancora sta avvenendo. Nessuno ha detto che la guerra al terrore è finita. O la guerra al terrorismo, che è ancora peggio, perché combattere un –ismo… Insomma che cosa guardo io, dall’albergo, quando mi affaccio in quel vuoto? Guardo il futuro, il presente, il passato? Boh, non lo so».

foto Ap-Lapresse

Il presente è quello di un’America ha perso compattezza, fra la delusione per Obama e le inquietudini rappresentate dal Tea Party.
«L’esito peggiore dell’11 settembre non è stato il diffondersi del cospirazionismo, che qui in Usa non ha mai davvero attecchito, mentre in Europa molti hanno pensato: “Gli Americani… sono dei maiali… se lo sono fatto da soli… volevano dominare il mondo” (se questo era il piano, non è che sia riuscito tanto bene). L’effetto tossico vero è stata una totale perdita di fiducia nelle istituzioni. Siamo quasi a livelli italiani. L’opinione pubblica non ha più fiducia in nessuna delle sue istituzioni. Si salva forse la Corte Suprema, che pure ha preso una botta tremenda dal caso Strauss-Kahn. Il presidente, sul piano personale ha ancora un certo appeal, ma sul piano politico sta peggio di Bush. Il Parlamento ha un gradimento del 10%. Il Tea Party, che sembrava in grande ascesa, è al 20%-25% di generica approvazione, non di voto. Quindi, resta una minoranza».

Che è successo agli americani?
«È stata la fine dell’età dell’innocenza, perché gli americani hanno sempre creduto – nonostante il Watergate, nonostante Clinton – che in fondo i migliori governassero. Ecco perché li menavano così duramente quando li beccavano coi pantaloni abbassati o a giocare con la costituzione, come è successo con Nixon. Adesso quasi ci si aspetta che siano una manica di cialtroni: un altro degli esiti negativi dell’11 settembre. Che ha spaccato insieme con le torri anche i monumenti della fede americana nella propria repubblica. C’era stato un momento in cui con Obama sembrava avessero trovato il “messia”, invece poi hanno scoperto che non cammina sulle acque. Lui l’aveva detto, aveva fatto una battuta durante la campagna del 2008: “La voce che io sia nato a Nazareth e cammini sulle acque è del tutto infondata”. Ma molta gente credeva nel “Yes we can”, nel “Change”. Non è cambiato niente: nell’economia, sul piano fiscale, la riforma della salute è stata un flop. E c’è un senso generale di sfiducia».

Sfiducia?
«Sì, un certo grado di indifferenza: qui delle guerre in Afghanistan e in Iraq non si parla più. Si pensa: “Sono fatte da volontari, da professionisti, da militari, noi li paghiamo, gli diamo le armi, gli vogliamo tutti bene, gli facciamo i nastrini, le cerimonie, le bandierine”. E poi finisce lì. Ora comincia il campionato di football e in ogni stadio ci sarà l’inno la banda, gente che piange, il veterano, il reduce che verrà celebrato. Però non riguarda tutti. Sono guerre che gli americani, così come non hanno pagate con le tasse, non hanno pagate con i propri figli, perché nessuno in questi anni rischiava di vedersi arrivare la cartolina precetto a casa. C’è una “casta” militare che se ne occupa, si fa ammazzare, che muore. “A me che me ne frega?”, pensa l’americano medio. Certo il prezzo l’hanno poi pagato con i crac, e caro.».