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Wikileaks: nuove rivelazioni sulla lotta al terrorismo in Yemen e su un rischio nucleare causato da Gheddafi

di Lorenzo Briotti |4 Dicembre 2010 0:43

Il presidente yemenita Ali Abdullah

I media partner di Wikileaks, tra cui Nyt e Guardian, hanno iniziato a pubblicare altri file segreti della diplomazia Usa.

Il”pacchetto” di primi documenti del New York Times parla della lotta al terrorismo in Yemen, considerato “regno degli Usa nella guerra segreta contro al Qaida”.

Dai documenti classificati “rubati” dal sito di Julian Assange, emerge secondo il New York Times il quadro di un Paese disposto ad aiutare ”a modo suo” l’antiterrorismo americano nella lotta ad al Qaida. In particolare emerge che il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha un atteggiamento nei confronti degli Stati Uniti che il New York Times definisce ”irriverente”, ”stravagante”, ”da vecchia volpe”.

”Saleh – scrive il New York Times citando l’analisi sui file di Wikileaks – ha imposto limiti stringenti alle operazioni americane nel Paese, anche se poi ha contribuito a camuffarle a modo suo”.

“Il territorio dello Yemen è disponibile ad operazioni antiterrorismo condotte in modo unilaterale dagli Stati Uniti. Ma ad un patto: che se poi c’è un attacco contro l’Occidente, non sia colpa mia”. In questi termini il presidente yemenita Ali Abduullah Saleh si è rivolto nel 2009 al consigliere di Obama sull’Antiterrorismo, John Brennan. Quando nel dicembre del 2009 in Yemen ci furono i primi due bombardamenti missilistici americani, lo Yemen offrì agli Stati Uniti di assumersene la responsabilità. In alcuni dei cablogrammi inviati a Washington da diplomatici Usa viene riportato che il presidente yemenita Ali Abdellah Saleh si rivolge in questi termini al generale David Petraeus, appena giunto in Yemen: ”Noi continuiamo a dire che le bombe sono nostre, non vostre”. Mentre un vice primo ministro yemenita, Rashad al-Alimi, da quanto riportato in un altro documento di Wikileaks assicura diplomatici Usa così: ”Le bombe americane trovate sul luogo (dei bombardamenti) possono sempre essere spiegate come nostro equipaggiamento acquistato dagli Stati Uniti”.

Si è invece rischiato un incidente nucleare lo scorso anno in Libia, dopo la decisione del leader libico Muammar Gheddafi di lasciare incustodito un carico di uranio altamente arricchito, “in balia di potenziali terroristi”.

Questa notizia la riporta il Guardian. La vicenda si è verificata, scrive il quotidiano britannico, dopo il ”no” dell’Onu alla richiesta del leader libico di piazzare la sua tenda a New York.

I contenitori erano in tutto sette, ciascuno dal peso di diverse tonnellate, pensati “unicamente” per il trasporto, contenevano 5,2 kg di uranio altamente arricchito (Heu). Vennero lasciati nei pressi dell’impianto nucleare libico di Tajoura, “custoditi solo da una guardia armata, non si sa se con il fucile carico”.

Un intenso scambio di dispacci diplomatici tra ottobre e dicembre 2009, scrive il Guardian, dimostra la preoccupazione americana ma anche russa per il carico, “che fa gola ai terroristi e agli Stati non-nucleari”. Il materiale, parte del piano nucleare libico, utilizzabile per fabbricare diversi ordigni “è altamente a rischio” perché “ha temperature che possono fondere i contenitori”. Insomma, si rischia il disastro nucleare e ambientale. “Ogni riferimento alla vicenda sui media può scatenare serie preoccupazioni di sicurezza”, si legge in uno dispacci di fonte Usa. L

a crisi esplose con forza il 20 novembre 2009, quando il direttore dell’agenzia atomica libica, Ali Gashut, riferì di aver avuto ordine di bloccare l’arrivo di un aereo russo Antonov 124-100 che avrebbe dovuto caricare il materiale e portarlo via, dopo l’offerta americana a Mosca di “pagare” per il disturbo. Quando gli americani affrontarono la vicenda con il figlio del leader libico, Saif al-Islam, questi sottolineò che il padre si sentiva “umiliato” per il trattamento ricevuto a New York, dove appunto gli era stato impedito di piazzare la sua tenda nel corso dell’Assemblea generale Onu.

Il 7 dicembre, dopo un lungo ping pong, “finalmente le guardie armate hanno iniziato a presidiare l’impianto nucleare”. L’Antonov, per il quale gli Usa avrebbero sborsato 800mila dollari, è infine atterrato il 21 dicembre, portandosi via il carico di uranio arricchito.

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