Yemen, attaccato il palazzo di Saleh. Presidente illeso

SANAA, 3 GIU – ”Sto bene, sono in buona salute” è lo stesso presidente Ali Abdullah Saleh, in un messaggio audio trasmesso dalla tv di stato a fugare ogni dubbio sulle voci che si sono rincorse per tutta la giornata arrivando persino a darlo per morto, dopo il bombardamento della moschea del palazzo presidenziale di oggi.

Saleh nel suo messaggio ha attribuito l’attacco di oggi ad una ”banda di fuorilegge” della confederazione tribale degli Ashed guidata dallo sheikh Sadeq al Ahmar, che ”ha rotto il cessate il fuoco”, precisando che i morti sono stati sette e non tre, ed ha invitato le forze armate e di sicurezza a rispondere ”con fermezza alla sfida lanciata da questa banda di fuorilegge che nulla ha a che fare con la rivoluzione giovanile”.

Intanto il capo della diplomazia dell’Unione Europea Catherine Ashton ha annunciato l’attivazione di un meccanismo per aiutare e coordinare l’evacuazione dei cittadini europei residenti in Yemen, intenzionati a lasciare il Paese a causa delle violenze. E nello stesso tempo Parigi ha chiesto ai francesi di lasciare lo Yemen senza ritardi, vista l’escalation di violenza.

Il Paese arabo con il più alto tasso di povertà e situato su una posizione internazionale dall’alto valore strategico non appare più solo ”sull’orlo della guerra civile” ma ormai immerso in un conflitto intestino dagli esiti drammatici e quanto mai incerti, dopo il ferimento del rais e di numerosi alti esponenti del regime in un attacco con colpi di mortaio sui cui contorni non è stata ancora fatta chiarezza.

Dalla fine di gennaio, data d’inizio della crisi yemenita, quasi 400 persone sono morte, 155 solo negli ultimi dieci giorni. Gli Stati Uniti hanno condannato il bombardamento del palazzo presidenziale, mentre dal Consiglio di cooperazione del Golfo si dicono intenzionati a riprendere la mediazione tra Saleh e le opposizioni interrotta il 23 maggio scorso.

In mattinata erano arrivate nuove drammatiche notizie da Sanaa della ripresa di scontri nel quartiere settentrionale di Hasaba, roccaforte dell’influente tribù degli Hashed, alleata da dieci giorni delle opposizioni, tra forze speciali governative (create in origine con mezzi e danaro Usa per combattere le cellule di Al Qaida) e miliziani guidati dallo sheikh Sadeq al Ahmar, capo della potente confederazione tribale.

Poco più tardi, nella città meridionale di Taiz, altro epicentro delle proteste anti-regime, agenti delle forze di sicurezza sparavano in aria e ad altezza uomo contro i manifestanti ferendone a decine secondo testimoni. In serata le stesse forze di sicurezza hanno reso noto un bilancio di sei morti, quattro militari e due manifestanti.

A metà pomeriggio, la tv privata yemenita Suhayl vicina alla tribù di Al Ahmar, trasmetteva la notizia della “morte del presidente Saleh mentre fuggiva dal palazzo presidenziale” sotto attacco. Dopo circa dieci minuti un alto dirigente del partito al potere smentiva la notizia assicurando la “buona salute” del rais che “continuerà a guidare il Paese”.

E prima della trasmissione del messaggio audio di Saleh in tv il sottosegretario all’informazione aveva affermato che il presidente era in buona salute e che la conferenza stampa che doveva tenere è stata rimandata ”a causa delle escoriazioni subite. Apparirà comunque presto”, aveva affermato. Saleh, ferito alla testa, sarebbe ricoverato nell’ospedale del ministero della difesa. Il suo palazzo è stato colpito da almeno due proiettili di mortaio.

La tv di Stato ha accusato i miliziani di Al Ahmar, mentre lo sheikh Sadeq ha negato ogni coinvolgimento. Nell’attacco sono morte sette persone, secondo quanto spiegato dallo stesso Saleh. Tra i morti ci sarebbero tre agenti della guardia repubblicana. Gravemente ferito sarebbe l’imam della moschea (inizialmente dato per morto). Feriti, a diversi gradi, anche il presidente del parlamento, il premier, il vicepremier e un consigliere presidenziale. Il più grave sarebbe il governatore di Sanaa, a cui avrebbero amputato una mano e una gamba.

Poco dopo il bombardamento, le forze lealiste hanno assaltato e distrutto “come segno di ritorsione” le abitazioni di due fratelli di Sadeq al Ahmar e quella del generale dell’esercito Ali Mohsen al Ahmar – non un parente dello sheikh – a capo di una frangia minoritaria delle forze armate che da settimane si sono schierate a fianco delle opposizioni. .

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