Guido Crosetto, ministro della Difesa, contro i giudici che costituirebbero “l’unico pericolo per la tenuta del governo di Giorgia Meloni”.
Che paese è mai questo se fra due poteri dello Stato (esecutivo e giudiziario) c’è un conflitto continuo che dura da anni e non ha la minima intenzione di smettere?
E’ una “guerra” addirittura impensabile perché fra governo e magistratura dovrebbe esserci una condivisione di obiettivi da raggiungere per il progredire della nostra democrazia.
Al contrario, i temi sono talmente divisivi che hanno spaccato l’opinione pubblica in due. I contrari ad una riforma che potrebbe dare all’esecutivo un potere pericoloso e i favorevoli che non ne possono più di vedere la lunghezza dei processi che a volte finiscono con la prescrizione, cioè tutti a casa come se nulla fosse successo.
Le grandi inchieste hanno “bucato” il muro della politica e, viceversa, chi governa è entrato di prepotenza nel mondo della giustizia? E’ questo l’interrogativo di fondo su cui l’opinione pubblica chiede chiarezza?
Una domanda che si tramanda da oltre trent’anni senza alcuna risposta. Si discetta, si polemizza, si continua a dividersi senza trovare mai un punto d’incontro. Le riforme hanno quasi sempre il medesimo oggetto, ma i risultati sono stati addirittura nulli.
Prendiamo ad esempio il problema importante della divisione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri: può un Pm essere accusatore e giudice?
“No”, dice in coro una parte politica spinta dall’opinione pubblica più agguerrita di cui Crosetto è l’ultimo esempio. “Si”, sostengono gli avversari perché un giudice è sempre terzo: non può andare né a sinistra, né a destra.
Ecco un altro grande interrogativo su cui la battaglia infuria. Crosetto è l’ultimo di una lunga serie. E’ convinzione di alcuni che la magistratura sia politicizzata e si faccia guidare da un’ideologia nemica assoluta di un giudizio. Così determinate sentenze vengono considerate di parte ed assolutamente fuori da ogni logica giuridica. In questo contesto ecco apparire di prepotenza l’assillo delle porte girevoli.
Vale a dire può un magistrato diventare il politico di un certo partito e poi una volta tornato all’ovile continuare a fare il magistrato come se niente fosse?
Anche in questo caso ci sono i favorevoli ed i contrari, ma questi ultimi fanno il paragone con l’informazione, vale a dire può un giornalista sedere sui banchi di Palazzo Madama o di Montecitorio e poi tornare a svolgere la sua professione con la terzietà che è il principio fondamentale di quanti lavorano nei giornali o in tv?
I tempi di Bettino Graxi e Silvio Berlusconi furono dilaniati dal coro di proteste che si alzò dall’opinione pubblica. Chi non ricorda le monetine gettate contro il leader socialista e le leggi ad personam volute dal Cavaliere allora presidente del Consiglio?
Ed ancora il braccio di ferro nel Consiglio Superiore della magistratura (l’organo di autogoverno) che divide gli eletti non per meriti professionali e coloro che invece avrebbero diritto ad entrarci e ne rimangono fuori.
Le riforme che portano il nome di Castelli, Cartabia ed oggi Nordio non hanno risolto un bel nulla. L’ultimo dei Guardasigilli, Nordio appunto, che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema è rimasto al palo e di lì per ora non si muove. Ora tocca a Crosetto.
Toghe rosse e toghe bianche: pure nel mondo dell’informazione si fa una distinzione che non dovrebbe esserci in uno stato democratico che crede ciecamente nella magistratura.
E’ così? Assolutamente no e le polemiche che infuriano un giorno si ed un altro pure dimostrano ancora che siamo fermi all’anno zero.
Per quanto ancora? Fino a quando un cittadino si sentirà sicuro di essere giudicato da una persona che non abbia pregiudizi politici? Il dilemma dovrebbe essere risolto da una ritrovata pace fra i due organi dello Stato, l’uno a fianco dell’altro e non divisi da una guerra guerreggiata di cui non si vede per ora la fine.